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VITTORINO LO GIUDICE*
Entro anch’io nella querelle Sanità a Cosenza. È da tempo nota la posizione della Segreteria aziendale Anaao della A.O. di Cosenza sulla necessità di un congruo miglioramento tecnologico-strutturale e di una più adeguata distribuzione anche logistica delle risorse economiche e di attrezzature da affidare alla Azienda stessa. Chi conosce la storia di Cosenza (vedi l’interessante libro del prof. Petrassi: “L’Ospedale dell’Annunziata e i grandi medici calabresi”) sa bene che cosa ha rappresentato la nostra città negli ultimi 40 anni: una sorta di “Svizzera” fiore all’occhiello sanitario e punto di riferimento socio-culturale della Calabria. Tutto ciò grazie agli stretti legami con le principali Scuole Universitarie, alla preziosa presenza di menti illuminate e alla serietà operativa dei nostri politici al servizio della collettività e non viceversa. Su questo principio, fino agli anni ’90, hanno fatto epoca le Divisioni Valentini, Cosco, Falcone, Migliori ecc.. Dirigerle o appartenere ad esse era un onore. Non c’era il rischio di errori di scelta o di fughe di cervelli. Amministrazioni illuminate e operose assicuravano mezzi e risorse innovative: il primo Centro trapianti, la prima divisione di Gastroenterologia, la prima Dialisi, la prima Tc, i primi ecografi, i primi endoscopi sono apparsi a Cosenza, e a Cosenza afferiva l’utenza di tutta la Regione. La malpratica era parola sconosciuta. Gli operatori e la cittadinanza erano soddisfatti. Poi qualcosa è cambiato, il vento è girato verso altri lidi e con esso le nostre risorse economiche e culturali. I Corchia, i Riccipetitone ecc., per altro ben sostituiti da loro allievi, non aspirano più a comunicare la loro scienza alle nostre unità operative. I Rubino, i Lanzino ecc.(valenti giovani professionisi dirigenti in importanti Ospedali degli Stati Uniti) non richiedono di tornare nella città che ha dato loro i natali. Una delle principali cause di un tale malessere è, a mio avviso, l’interesse campanilistico dei vertici della Sanità Regionale, per i quali la parola d’ordine è stata: “demolire Cosenza”. I manager scelti sono apparsi poco interessati alla loro Azienda (anche perché non vi appartenevano o erano comandati alla abulia.) e, in povertà di risorse, secondo i maligni, sono sembrati essere stati inviati proprio per impedirne la rinascita. In questi anni hanno consentito che il budget per cittadino, in assoluto o percentualmente, fosse inferiore a quello delle altre città della nostra Regione, pur essendo Cosenza la Provincia più grande e popolosa della Calabria. Hanno accettato che i centri di eccellenza fossero creati in altre aree (vedi Cardiochirurgia); hanno permesso che le tecnologie fossero indirizzate altrove (vedi Pet), che gli altri ospedali fossero ristrutturati con risorse e mezzi di primordine (vedi ospedale Pugliese, Ciaccio ecc), che la Facoltà di Medicina destinata a Cosenza non fosse neppure pensata, hanno determinato la deviazione dei suoi fondi verso quelle aree di cui si sono tristemente occupate anche le televisioni nazionali (vedi Fondazione Campanella). Si è rischiato di perdere finanche l’elisoccorso e solo grida di “all’erta” di unici, attenti attori non hanno consentito l’ennesimo scippo. In questi anni, i proclami di impegno delle forze politiche locali, ahimé solo pre-elettorali, sono apparsi a tutti privi di incisività e forse, anche di reale volontà, utili solo come distratte occasioni di notorietà, pronte alla bisogna a fare massa anche con chi, da lidi limitrofi, non ci ama. Stupisce che, a differenza di quanto accade in altre realtà della Regione, sia mancata una qualsivoglia coesa presa di posizione della cittadinanza, delle forze sociali, economiche e sanitarie, ma siano apparse solo rare e inascoltate grida di allarme. Non un incitamento al rispetto del diritto alla Salute di tutti i cittadini. Solo una rassegnata attesa, un inconcepibile e ossequioso chinare la testa. Finanche i Sindacati sono rimasti spesso indifferenti, trasformando, talora, il richiedere la tutela dei diritti in un umiliante pietra di scambio per sé stessi e i propri affiliati. Finanche quanti ritengono di essere i più illuminati gestori della Sanità locale, hanno accettato le imposizioni dai ras della Regione, addirittura sostituendosi nelle vessanti richieste a quelle già inconcepibili, pur di rimanere i “preferiti” Senza un adeguato ospedale (il nostro è l’unico di un capoluogo di provincia d’Italia che dal dopoguerra non sia stato ricostruito), senza attrezzature innovative (costantemente bocciate dalla Regione), senza risorse, senza possibilità di un confronto culturale che riduca la piaga della autoreferenzialità (la stessa possibilità di una Facoltà di Medicina a Cosenza viene incredibilmente combattuta dai nostri concittadini), senza nessuna volontà politica, la Sanità a Cosenza sta così morendo. È poi ci si stupisce di malpartica. In un tale sfacelo, di cui non è difficile riconoscere gli autori, nella ricerca di un untore, si è voluto individuare esclusivamente nell’anello debole della catena (il medico) il responsabile della catastrofe, l’unico che il disastrato utente incontra sempre nel suo infelice percorso, il nemico, da mettere sempre in prima pagina. E, quindi, addosso al criminale. Nessuno che intervenga in suo favore, nessuno che dica come stanno realmente le cose, nessuno che ricerchi i veri responsabili. Al medico non deve spettare nulla. La sua presenza è diventata ingombrante, se non addirittura inutile e guai se si ribella o solo se informa l’opinione pubblica: parola d’ordine è farlo tacere con la riduzione del personale, con l’abolizione dello straordinario, con la chiusura di servizi, con la chiusura di unità operative. In recenti articoli, che si proponevano nel titolo di contestare la attuale direzione della Sanità e che avrebbero dovuto rivelare il frequente servilismo, la inadeguatezza della classe politico-amministrativa locale e regionale, la loro inefficienza, e che volevano ricercare e riconoscere le professionalità, si è evidenziato il ritmo bradicardico di chi sa di appartenere a quanti, umiliati e impotenti, lavorano in Sanità a Cosenza. Una Sanità che funziona è utile a tutti. Una Sanità che non funziona è pericolosa. È indispensabile che, senza colori e senza pennacchi, senza proclami di parte, senza corporativismi, senza sciocche difese d’ufficio, senza lotte intestine, ci si attivi tutti nelle piazze, sui giornali, in televisione, che ci si affianchi nel richiedere quanto ci spetta, che si stimolino i vertici locali e regionali. Siamo stanchi, umiliati, ma non sconfitti. Le risorse, è vero sono poche, ma sono di tutti e non di eletti. Occorre precisarlo e ricordare che non si può accettare che queste siano assegnate sempre agli stessi, quelli dai quali, ho sentito ipotizzare, occorre recarsi per studiare o per curarsi, perché tanto, solo a un’ora di macchina (Catanzaro), autostrada permettendolo.. Giù le mani, allora, dalla nostra Sanità. Che non ci si dimentichi che siamo tutti dei potenziali utenti di questa Sanità. Il guaio è che accanto ai cittadini comuni esistono soggetti con corsie preferenziali e ai quali tutte le porte sono sempre aperte a Cosenza come altrove.. Per concludere, non comprendo perché quando accade un incidente in fabbrica il responsabile è sempre ricercato nel datore di lavoro, mai nel dipendente. In Sanità, invece, il datore di lavoro (Regione, Azienda sanitaria o ospedaliera) non è mai chiamato in causa: la responsabilità è sempre e solo del dipendente (il medico).. Ora basta: individuiamo i responsabili tutti, senza remore, ma non criminalizziamo una professione! *Segretario Aziendale Anaoo A.O. Cs

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