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di DOMENICO LOGOZZO
“C’è un degrado del modo in cui la nostra società osserva le donne, un modo offensivo di trattare il corpo femminile”. Un recente grido d’allarme del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, diventa di straordinaria attualità in questi terribili giorni di vigliacche aggressioni e inaudite violenze contro le donne. La cronaca ci consegna e ci fa riflettere su due drammatiche storie. Vittime due ventenni. In Calabria un rumeno minaccia con la pistola una giovane coppia nella pineta di Giovino e abusa della ragazza sotto gli occhi atterriti del fidanzato. In Basilicata tre rumeni rapiscono una ragazza nel centro storico di Palazzo San Gervasio e la stuprano per ore. Arrestati. Bestie. Bisogna essere duri e punire esemplarmente questi esseri incivili. Dare risposte concrete. Deve scattare la mobilitazione della società civile. Senza tergiversare. Senza distrazioni. Senza ambiguità. Giustamente preoccupata, Dacia Maraini qualche tempo fa ha affermato che “di solito gli uomini non sono molto sensibili al tema della violenza sessuale, ma lo dovrebbero essere perché è una ferita sociale di cui tutti si devono preoccupare”. E che ferita! Intervenire con urgenza. Non sottovalutare il pericoloso fenomeno. Violenza da stroncare subito. Per evitare che diventi un’altra emergenza nazionale. E questo, per evitare che possano ripetersi episodi terrificanti come quello avvenuto sul Monte Morrone, in Abruzzo, che sul finire degli anni Novanta sconvolse la pubblica opinione mondiale: un pastore macedone di 24 anni uccise due giovani turiste venete, dopo averle violentate. Ricorda il giornalista e scrittore Angelo Di Nicola: «Un massacro che macchiò di sangue la “montagna sacra” a pochi chilometri da Sulmona. Un massacro che rivivrà per sempre davanti agli occhi di Silvia Olivetti, unica scampata dopo aver avuto la forza e il coraggio non solo di salvarsi con una fuga durata sette ore tra le montagne ma anche di testimoniare in aula, con un racconto da film horror, quello che accadde: “Era nudo, sopra a mia sorella. L’ho guardato negli occhi: è lui”. Alla parola “ergastolo”, come se quella fuga fosse finita, Silvia è scoppiata in lacrime abbracciandosi a lungo con sua madre. “Provo ancora tanto dolore, questa sentenza non può certo consolare…” ha detto. Poi i singhiozzi le hanno soffocato le parole in bocca». Il pm davanti ai giudici della Corte d’assise dell’Aquila era stato implacabile: “Non abbiate pietà di lui: la storia dello straniero emarginato, o dell’uomo che, isolato, diventa lupo, non regge. Era stato accolto come un figlio dal suo datore di lavoro: è un mostro e basta”. E la Corte non ha avuto pietà. Non si può avere pietà per questi vigliacchi. Vanno puniti come meritano e lasciati in carcere ad espiare fino all’ultimo giorno la pena. Perché l’umiliazione e le ferite morali inferte alle vittime rimarranno indelebili. Il coraggio della denuncia deve essere sostenuto dalla certezza della condanna. No, non ci possono essere sconti per questi esseri immondi. Perché potrebbero ripetere le scellerate violenze. E seminare ancora terrore. Questi timori, all’indomani della condanna del pastore macedone erano stati espressi dai genitori delle vittime: «Speriamo di non dover assistere ad una repentina scarcerazione come non è raro vedere nella giustizia italiana. Cosa potrebbe accaderci, anche fra 15 anni, se “lui” dovesse essere scarcerato?». Interrogativo inquietante. Che purtroppo non è sbagliato porsi anche oggi, dopo gli arresti dei responsabili delle ultime violenze. Le leggi vanno applicate con rigore, senza esitazione. Non si tratta di giustizialismo o di razzismo. Si tratta di difesa della libertà di ogni singolo individuo e di rispetto della dignità delle donne.

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