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di NINO D’AGOSTINO
L’INIZIATIVA del segretario regionale del Partito democratico, Roberto Speranza (in foto), di organizzare il 31 p.v. un seminario di riflessione e di rilancio dello sviluppo socio-economico della Basilicata, coinvolgendo i vertici del partito, è, senza dubbio, eccellente e cade in un momento propizio (siamo sostanzialmente all’inizio della legislatura regionale) per definire politiche di medio periodo. La serietà con la quale Speranza intende strutturare l’incontro la si rileva dall’aver voluto coinvolgere due eminenti economisti, come Adriano Giannola e Luca Bianchi, due studiosi, di cui è nota la onestà intellettuale, merce rara in tempi in cui imperversano molti soldati di ventura, a caccia di incarichi professionali. I due economisti consentiranno certamente una lettura fedele della situazione socio-economica in cui versa la regione, operazione questa propedeutica per delineare qualsiasi ipotesi di futuro. Riconoscere la realtà, così com’è, con le sue luci e le sue ombre, è una operazione che si fa fatica a compiere in Basilicata, non comprendendo che, rinunciando a questa necessaria presa d’atto, ci si allontana, e di molto, dalla soluzione dei problemi della crescita. I due esperti non possono certo essere accusati di essere portatori di furia iconoclasta; in molte occasioni hanno evidenziato le criticità del sistema economico regionale che si rifanno, in verità, a quelle spesso riscontrabili nell’intero Mezzogiorno ed hanno suggerito azioni per superarle. La Basilicata attraversa una crisi economica strutturale, a cui si è aggiunta, aggravandone le problematiche, quella recente di natura internazionale. La gran parte degli indicatori socio-economici descrive una regione afflitta da una grave arretratezza (le gravi lacerazioni del tessuto demografico, le disuguaglianze sociali ed occupazionali, le insufficienti dinamiche economiche e così via). Certo, non mancano anomalie positive rispetto alle altre regioni meridionali, come la sostanziale assenza di criminalità organizzata, il poter disporre di una giovane classe dirigente, nuove generazioni interessate a fare percorsi scolastici molto avanzati, la presenza di risorse naturali paesaggistiche e monumentali da valorizzare. La sovrapposizione di criticità e potenzialità fa, comunque, della Basilicata una regione molto complessa: la soglia delle dimensioni di molti fattori socio-economici è troppo bassa, la trama urbana insufficiente per innescare virtuosità tra sviluppo urbano e sviluppo economico. La politica è troppo invasiva e troppo attenta ad acquisire consenso, attardandosi spesso su interventi di corto respiro, ma di immediato tornaconto elettorale. Da troppo tempo non disponiamo di una visione e di un progetto di sviluppo di lungo periodo, entro cui collocare gli effetti della globalizzazione e della competitività che caratterizzano le economie avanzate e di conseguenza siamo in ritardo nel darci strategie d’intervento coerenti con un disegno generale. Nel prossimo futuro dovremo fronteggiare i temi della crescita in un contesto di federalismo fiscale, che si sta avviando nel peggiore dei modi, assecondando pulsioni egoistiche e localistiche imposte dalla Lega Nord che sottendono ancora più risorse al nord, in barba all’obiettivo di superamento del dualismo nord-sud che presupporrebbe il contrario. In materia di federalismo il Pd si è troppo facilmente accodato al disegno della Lega nord, assecondando ancora una volta le “fughe in avanti” che spesso la politica si concede (vedi, ad esempio, la chiusura della Cassa del mezzogiorno che è servita per rimuovere dalla agenda di Governo la questione meridionale). Siamo alla riproposizione, questa volta esplicita, dell’Italia a due velocità, nella quale al sud è attribuito il ruolo di vagone di coda che si potrebbe anche sganciare, per non far perdere di velocità la testa del treno. Il seminario dovrà affrontare queste ed altre tematiche che incombono sul Mezzogiorno che non può pensare di arginare la lega, contrapponendole movimenti meridionali analoghi. È il sud che deve rifondarsi, in termini di cultura politica, di regole da porre a base della selezione della sua classe politica, di affermazione di azioni finalizzate al bene comune. In questa ottica, non c’è bisogno di federalismo che dir si voglia: la responsabilità e la capacità politica possono dispiegarsi in qualsiasi contesto istituzionale. Se questi due fattori hanno finora presentato non poche deficienze, è su di esse che occorre concentrarsi. Come si fa a non diffidare di un movimento politico che ha al primo punto del suo statuto l’indipendenza della Padania e che sa che, se non porta più soldi al nord, finirà per perdere consenso. Diventeremo federalisti al “buio” e per di più sotto la spada di Damocle della secessione strisciante che la Lega nord ci propina tutti i giorni e che ci rifiutiamo di vedere. Il futuro della Basilicata non potrà contare sui grandi eventi registrati negli anni ’90, allorché la grande e media industria nazionale ha scoperto la regione; dovrà contare prevalentemente sulle proprie forze che significa fare crescere l’autostima nei cittadini lucani, invogliarli a darsi progetti di vita lavorativa forti, ricercando i tanti spazi produttivi relativi alle vocazioni del territorio (turismo, artigianato, beni ambientali ecc.) che sono al riparo della concorrenza dei paesi emergenti perché dotati di caratteristiche che non sono replicabili altrove e che consentono una occupazione stabile nel breve periodo, non necessitando di grandi infrastrutture di supporto. Due circostanze che vanno nella direzione di creare occupazione, mettendo un freno alla emigrazione che, se protratta, farà venire meno il fattore fondamentale su cui si regge lo sviluppo e cioè il capitale umano. La politica è chiamata a fare una parte decisiva in tale progetto di rilancio, dotandosi di strumenti di riferimento programmatico innovativi, riqualificando e riordinando le amministrazioni regionali e locali, imponendo la cultura del risultato a quella delle semplici procedure di spesa, sottoponendo a valutazioni rigorose le politiche intraprese, privilegiando il merito sulla appartenenza partitica, dimostrando di essere capace di operare in presenza di risorse pubbliche sempre più ridotte. Se si vuole determinare virtuosità ai processi sociali occorre “battere il chiodo della politica”, come suggeriva Giustino Fortunato, per garantire autonomia ai cittadini ed alle loro coscienze nella direzione di una società più aperta, nella quale la borghesia produttiva e professionale, ossia la struttura portante della società civile, svolga finalmente il ruolo che le compete e cioè, come invitava Benedetto Croce, di impegnarsi in “un’opera che va oltre di noi”, mettendo da parte la ricerca di protezione e di privilegi, coltivati all’ombra della spesa pubblica. La regioneattraversauna crisistrutturale

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