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di GIUSEPPE RICCARDI
A pochi giorni dalla scomparsa di Tullia Zevi, tra i più illustri esponenti dell’ebraismo italiano e dell’antifascismo del nostro Paese, si celebra oggi la giornata della memoria, a 66 anni da quel 27 gennaio che vide l’abbattimento dei cancelli di Auschwitz ad opera delle truppe sovietiche. Rivelato al mondo in tutto il suo orrore, il genocidio degli ebrei, del resto, non era che il punto di arrivo di una lunghissima teoria di discriminazioni e di persecuzioni a cui questi sono stati oggetto nei secoli. Potendo praticare il prestito a interesse – la proprietà della terra veniva loro quasi ovunque vietata, mentre l’usura era interdetta ai cristiani – gli ebrei sono sempre stati fonte di benessere per gli Stati che li accolsero. Malgrado ciò, mediamente più benestanti, attrassero naturalmente l’invidia, quando non l’odio, del resto delle popolazioni. La loro opulenza, infatti, ha fornito argomenti agli stereotipi e pregiudizi tutt’ora diffuso anche tra insospettabili intellettuali. La Chiesa Cattolica non si può certo dire che abbia frenato l’antisemitismo, se ancora in tempi recenti nelle chiese ci si riferiva loro come ai perfidi ebrei: il Deicidio era una delle accuse che più frequentemente veniva loro rivolta, eccitando la furia popolare, il fanatismo religioso che spesso portò dal Portogallo alla Russia a frequenti e sanguinosi pogrom. A testimonianza della responsabilità del Papato, si ricordi come le prime ondate di violenze antiebraiche in Europa risalgano proprio all’XI secolo, alla prima Crociata promossa da Urbano II e Pietro il Venerabile, agli anni immediatamente seguenti il Concilio di Clermont, datato 1095. La storia dei rapporti tra Cristianesimo e Islam da una parte e Ebraismo dall’altra è una lunga storia di tolleranza e repressione. Ma l’Olocausto, per le dimensioni, la scientifica risolutezza del nazismo nel perseguire il sistematico annientamento di un popolo, non ha precedenti. Da questo punto di vista, per quanto accomunati ai rom, ai sinti nello sterminio per motivi razziali – agli altri internati, pure perseguitati, era offerta la possibilità, per quanto spesso solo teorica, di uscire dai lager in caso di “abiura” o risanvimento nel caso dei malati mentali – gli ebrei giustamente tengono a preservare l’unicità della loro tragedia, anche rispetto al genocidio degli armeni. Senza la Shoa, faremmo ancora più fatica a capire, anche fatto salvo l’elemento religioso, come il popolo cosmopolita per antonomasia, il cui orizzonte è sempre stato l’universo tutto, possa mostrare un tale attaccamento a quello che non è, tutto sommato, che un piccolo fazzoletto di terra. In tempi in cui i più nascevano e morivano nel villaggio o nella vallata natia, gli ebrei potevano spesso vantare relazioni con molti paesi, forti di una grande solidarietà e sempre pronti a sostenersi in casi di necessità, ahimè, piuttosto frequenti nel corso della loro storia di Nazione senza Stato, mentre, per la maggior parte dei popoli, la storia è per lo più statuale. Il sionismo, a ben guardare, è un elemento costante nella storia degli ebrei, specie in età contemporanea. Anche considerata la tragedia della Shoa, a seguito della quale, probabilmente, il mutuo sostegno tra correligionari, evidentemente, agli occhi dei più tra di essi, sembrò non bastare più a garantire la loro sicurezza. Tuttavia, anche considerando tutti questi tristissimi eventi, rimaniamo sorpresi da questo legame così forte con la Terra Santa, la Terra promessa, specie se si consideri quanto la politica israeliana in Medio Oriente abbia nuociuto alla loro immagine. Necessità di riconoscersi in uno Stato che possa in qualche modo difenderli, in confini nei quali, per la prima volta da secoli, non si è minoranza? Probabilmente, anche a costo di offrire nuovi pretesti per alimentare un persistente antisemitismo, essendo i palestinesi, senza alcun dubbio, le vittime, i deboli cui va naturalmente la simpatia e la solidarietà di tutti. Sono state ancora i rovesci, i disastri improvvisi a temprare la loro intelligenza, a far sì che nessun altro popolo abbia investito tanto nella cultura e nell’istruzione, un bagaglio questo che si può portare facilmente in caso di fughe improvvise per il precipitare degli eventi, come tante volte successo in passato. L’influenza ebraica nei vari stati che li hanno via via ospitati è stata dappertutto fortissima, che siano stati ghettizzati o meno. L’ultima ad essere liberata in Europa fu proprio la millenaria comunità romana, in occasione, per inciso, della presa di Roma del 1870, ad onta della Chiesa, che però, le va riconosciuto, ha fatto molti passi avanti da allora, specie con gli ultimi pontefici. Che si guardi alle scienze, al pensiero filosofico, alla letteratura, alle dottrine politiche o quant’altro, è incontestabile e anche i loro più feroci detrattori non possono non riconoscere che nessuna minoranza ha dato in proporzione tanto all’avanzamento della civiltà in così tanti settori dello scibile umano. Anche solo per questo, comunque la si pensi, non possiamo che esser loro grati.

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