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di OTTAVIO ROSSANI
Ormai da molto tempo, Berlusconi vorrebbe che Tremonti si dimettesse (24 settembre 2011). Ma Tremonti non ha alcuna intenzione di lasciare il ministero di via XX Settembre. È andato al G20 di Washington, e non si è messo in particolare evidenza. Ha lavorato dietro le quinte in incontri bilaterali e nelle diverse commissioni. Ha tenuto un profilo molto basso, assolutamente non mediatico. Non ha risposto alle domande dei giornalisti. Tuttavia avrebbe detto: «Non mi dimetto. Devono sfiduciarmi loro». E per loro intendeva sia Berlusconi e i ministri sia il Pdl tutto. La sfiducia in Parlamento: la cosa non è semplice. Si potrebbe anche arrivare a tale conclusione. Ma ci sono dei rischi. Probabile che dopo la sfiducia a Tremonti, il Governo non avrebbe la possibilità di andare avanti. Il presidente Napolitano non vedrebbe di buon occhio un altro ministro (altro valzer), e soprattutto non apprezzerebbe se Berlusconi assorbisse a sé l’interim (cosa alla quale forse egli pensa). Berlusconi vorrebbe la soluzione soft: cioè le dimissioni di Tremonti e sembra che siano già tanti i messaggi fattigli arrivare. Il dissidio tra Berlusconi e Tremonti è ormai risaputo da tempo: il capo del Governo non sopporta più che Tremonti faccia il cane da guardia in politica economica, dettando rigori che per Berlusconi sono eccessivi e portano alla perdita di consensi. Non è più un problema tecnico, come si poteva pensare all’inizio delle loro divergenze. Ora è sicuramente un problema politico. Berlusconi non vuole sentir parlare di patrimoniale e invece perfino Emma Marcegaglia ha dichiarato che Confindustria è disposta ad accettare una piccola patrimoniale. Non vorrebbe toccare le pensioni, ma alla loro regolamentazione (equa) è impossibile ormai sfuggire; prima o poi bisognerà toccarle, nonostante il bau bau di Bossi. Non vorrebbe la tassazione delle rendite finanziarie che Tremonti sta pensando di aumentare. Io sono propenso a tassare le rendite finanziarie, frutto delle speculazioni nazionali e internazionali, spesso troppo alte e destabilizzanti. Sono propenso anche alla tassazione degli alti profitti personali più che a patrimoniali che andrebbero a toccare ciecamente anche patrimoni piccoli oppure grandi ma poco produttivi. Ma sono solo le mie idee, che vedo allignare da qualche tempo in esponenti politici o economici tipo Sarkpzy o Trichet e perfino in Obama. Berlusconi non sopporta nemmeno i carichi da novanta di Emma Marcegaglia. Impietosa la diagnosi del Governo che non decide se non sui suoi problemi personali. E pensare che voleva nominarla ministro dello Sviluppo economico. E ora, quasi come un ministro alternativo, Marcegaglia ha esposto il cosiddetto “manifesto della Confindustria”. Gli ha suggerito quali provvedimenti adottare per rilanciare la “crescita” economica, invocata da tutti, compresi anche i capi di Stato e primi ministri europei. Marcegaglia ha proposto una ricetta semplice: detassazione per tutti i lavoratori e per le imprese. E si è dichiarata disponibile a discutere anche una “piccola patrimoniale”. Ma Berlusconi l’ha presa male. È convinto che non deve ricevere lezioni da nessuno. E men che meno dalla presidente di Confindustria, che finora lo ha denudato denunciando le insufficienze (dal punto di vista degli imprenditori) delle “manovre” fin qui fatte. E soprattutto gli ha spiegato che un Governo fermo, incapace di governare, deve trarre le “debite conseguenze”. (In altre parole, passare la mano). Così l’Italia si trova in stallo. Non va avanti. Anzi va indietro. L’inflazione aumenta. I consumi diminuiscono. Le banche negano i finanziamenti e si limitano a rastrellare competenze dai conti correnti e dai vari depositi. I risparmi comunque si stanno restringendo. Il livello delle tasse ormai supera il 51 per cento. E dopo il declassamento dell’Italia per via del debito fatto dalle agenzie di rating (che ancora una volta Berlusconi attribuisce a un complotto contro l’Italia) e anche di sette banche italiane, la situazione sta diventando sempre più critica. Le manovre già fatte rischiano di diventare insufficienti e forse inutili. Le spread tra i titoli italiani e quelli tedeschi è sopra i 400 euro. Quindi la fiducia nel sistema Italia si sta assottigliando ogni giorno. Il presidente Napolitano ancora una volta ha richiamato tutti alle proprie responsabilità: ma è voce nel deserto. La mediocrità dei ministri e dei politici (quasi tutti) è così grande che il richiamo alla responsabilità passa sopra i loro egoismi senza neppure sfiorarli. Le Cassandre non mi sono mai piaciute. Ma mi piacciono ancora meno i presuntuosi arroganti (spesso incompetenti) che stanno governando il nostro Paese. Almeno Tremonti una competenza ce l’ha. Dio ce la mandi buona! *** LA “LEGA” STA IMPLODENDO. Il leader storico e fondatore ormai non riesce più a tenere in pugno la situazione del partito. Sono veramente tanti i militanti che si chiedono perché Bossi sostiene Berlusconi in qualsiasi circostanza, prolungando l’agonia di questo Governo e del Paese. Per esempio, il Parlamento è chiamato in settimana a votare la sfiducia al ministro Saverio Romano, imputato in un processo di mafia. I leghisti vorrebbero sfiduciarlo, ma Bossi ha detto no. Questo per evitare uno scossone al Governo e per non creare un nuovo problema a Berlusconi. Il gruppo che fa capo a Maroni rosica male perché anche il ministro dell’Interno ha dichiarato che il voto della Lega sarà compatto. E che dire del vecchio leitmotiv della “secessione”? Bossi tenta di tenere legato il partito che gli sta sfuggendo di mano, cavalcando quell’idea estrema che esalta i suoi più scalmanati sostenitori ma che non convince la grande “pancia” del partito, e che Napolitano ha ancora una volta elegantemente messo all’indice. E lo stesso Berlusconi è stato costretto a dichiarare che “l’Italia è e resterà sempre unita”. L’unica cosa seria che è uscita ultimamente dalla sua bocca. Ma la “base” leghista ogni giorno si domanda: perché Bossi vuole restare così legato a Berlusconi, nonostante capisca che Berlusconi sta aprendo un baratro anche alla stessa Lega oltre che al Paese. La perdita di consensi aumenta ogni giorno e alimenta nella base la riprovazione per Bossi e il suo “mistero”. *** “DOVE ERAVATE TUTTI” (25 settembre). Questo è il titolo di un libro che consiglio. L’autore, Paolo Di Paolo, è un giovane scrittore che ha già dato buona prova di sé con alcuni volumi. Questo è un romanzo (Feltrinelli, pagg. 219, euro 15). Racconta una storia familiare/pubblica, con l’ambizione di storicizzare gli ultimi vent’anni italiani con i fatti privati della propria vita (ma può essere anche tutto inventato). Raccontando il declino del Paese con la gestione quasi ventennale di Berlusconi, con l’incidenza degli avvenimenti, quasi sempre tristi, internazionali oltre che nazionali, Di Paolo racconta i fatti privati del trentenne Italo Tramontana, allo scopo di creare una memoria collettiva e privata che non debba scomparire. Vicende private e vicende pubbliche con le storie di precariato, di una scuola che tutto sommato funziona poco, un padre professore che ha puntato un allievo e poi anche lo investe senza molti danni con l’auto, la moglie che fugge a Berlino perché vuole trovare finalmente se stessa, e lui Italo, il testimone, rincorre un amore infantile ritrovando la bimba che l’aveva ammaliato a Berlino. Tutto il romanzo gira però intorno a quel rapporto spiegato solo alla fine tra il professore e l’allievo discolo, sullo sfondo di inquietudini generazionali. Un buon esempio di scrittura, una buona dose di riflessioni non banali.

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