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di PIETRO MANCINI
Non sembra più il Parlamento, ma una specie di aula, molto affollata, di un tribunale penale. Non passa settimana che le Camere non debbano occuparsi di un nuovo caso giudiziario. Oggi tocca al ministro siciliano, don Saverio Romano, eletto con l’Udc di Casini e di Totò Cuffaro, detenuto a Rebibbia, e oggi leader dei “Responsabili”, di cui Pd e Idv chiedono la cacciata dal governo, in sintonia con la richiesta di rinvio a giudizio per “concorso esterno in associazione mafiosa”. Si tratta dello stesso, controverso e discusso reato, che ha già mietuto vittime illustri, riconosciute innocenti, ma solo dopo lunghi e dolorosi calvari, giudiziari e personali: da Andreotti a Mancini, da Mannino a Musotto al presidente della Cassazione, Carnevale. Anche stavolta, come prima dei voti sulle richieste di invio a Poggioreale di Papa, approvata, e di Milanese, respinta, la Lega tentenna, ma propende per il “niet” alle manette, mentre l’opposizione spera nel tonfo definitivo di Berlusconi – da ieri indagato anche a Bari, per presunta “induzione alla falsa testimonianza”, per la vicenda Tarantini-Lavitola- e l’immancabile pattuglia di deputati “disponibili”, o “puttani”( come il giornalista di destra, Alberto Giovannini, direttore del “Roma”, definì, nel 1961, i consiglieri monarchici di Napoli che, passando con la Dc, fecero cadere il sindaco Lauro): costoro alzano il prezzo, postulano incarichi e poltrone, facendo tremare, ma non cadere, la coalzione dei duellanti Silvio e Tremonti. I voti sugli arresti e sulle inchieste diventano, pertanto, materia di lotta politica, mentre il merito delle accuse e delle richieste delle toghe viene, quasi completamente, ignorato, con l’opposizione che vota contro, a prescindere, e la traballante maggioranza, che vota arroccata in difesa di personaggi nominati parlamentari dai capataz, forse, non colpevoli, ma non tutti di specchiata moralità. Qualche giorno fa, il vecchio Macaluso aveva, opportunamente, invitato i capi dei partiti del centrosinistra a non attendersi la caduta del governo, in occasione dei frequenti voti del Parlamento. Ma i condottieri dell’opposizione, snobbando i saggi consigli di don Emanuele, si rimettono l’elmetto di guerra, oggi, in occasione dell’atteso voto sulla proposta di cacciata dall’esecutivo, con ignominia, del ministro Romano. Eppure, da quando Gianfranco Fini ha lasciato il Cavaliere che, nel lontano 1993, “sdoganò”, a Casalecchio di Reno, il federale dell’allora fascistissimo Msi e si è intruppato con Casini, Rutelli, Vendola, Bersani, Diliberto e Di Pietro, per i progressisti, è cominciata una lunga serie di batoste. Solo una coincidenza, oppure l’ex capo del Msi porta un tantinello di….sfortuna ? Come ammoniva il mitico don Eduardo de Filippo, non è, forse, vero, ma qualche dubbio, e il relativo gesto scaramantico, sembrano più che comprensibili. Sinora, comunque, non è stato coronato da successo il tentativo del centrosinistra di utilizzare, politicamente, le palate di fango, quotidianamente gettate su Berlusconi, nel contesto di quella “caccia all’untore”, di cui, tra gli opinionisti liberal, Piero Ostellino ha denunciato la gravità e l’ampiezza (100 mila conversazioni intercettate, solo nell’inchiesta di Bari, per documentare le “bollenti notti di Arcore”, anzi gli “atti licenziosi e impropri”, come li ha bocciati il capo della Cei, cardinal Bagnasco). Eppure, in passato, Paolo Mieli, che sollecita le dimissioni del premier, esternò giudizi diversi da quelli odierni, quando invitò, in primis i capi della sinistra, ad archiviare il giustizialismo forsennato anti-Berlusconi, molto più diffuso, sulla stampa e nelle tv, rispetto alle rare posizioni garantiste. Espresse da coloro che, prima di “squalificare”, condannare o assolvere una persona, non intendono trasformarsi in tifosi e non si accontentano delle chiacchiere e del gossip, ma si chiedono quali siano le prove e, soprattutto, quali reati, e da chi, siano stati commessi. E, dal momento che l’Italia è il Paese del paradosso, tutt’altro che normale- dove nelle Procure più agguerrite si condiziona il teatrino politico e il Parlamento, settimanalmente, si trasforma in un tribunale-sconcerta, ma non sorprende che, come base del disegno di legge contro l’ abuso delle cosiddette “intercettazioni a strascico”, verrà riesumato il testo, elaborato, 4 anni fa, dall’allora Guardasigilli del governo Prodi, Mastella. Proprio quel disegno di legge, approvato alla Camera, ma arenatosi al Senato, in seguito alla crisi dell’esecutivo e allo scioglimento delle Camere. La bufera politico-giudiziaria si scatenò, in seguito alle dimissioni dello statista di Ceppaloni, indagato, con la moglie, dall’allora sostituto della Procura di Catanzaro, Luigi de Magistris, attuale sindaco, Idv, di Napoli. Una delle tante mega-istruttorie destinate a evaporare nel nulla, dopo un gran clamore mediatico, che nuociono alla giustizia, ormai vicina al collasso, ma non alle carriere politiche dei promotori.

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