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Concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione elettorale i due reati che la Dda di Catanzaro contesta ai politici Umberto Bernaudo, già sindaco di Rende e attuale consigliere provinciale del Pd e Pietro Paolo Ruffolo, ex assessore provinciale e ex assessore al Comune di Rende durante la consiliatura dello stesso Bernaudo. Per loro ieri, la notifica di due avvisi di garanzia relativamente ai risultati elettorali ottenuti alle provinciali del giugno del 2009 che hanno consegnato la vittoria al centrosinistra di Mario Oliverio.
Bernaudo fu eletto nel collegio di Rende 2 con 2.482 voti di preferenza per una percentuale pari al 21,85 %, risultando il terzo eletto del Pd in tutta la provincia di Cosenza. Ruffolo, invece, nominato poi assessore alla Pubblica Istruzione e all’Edilizia scolastica, fu eletto nel collegio di Rende 1 con 2562 voti pari a circa il 18.91%. Nelle maglie dell’inchiesta è finito, infatti, un terzo politico di Piane Crati, Pierpaolo De Rose e il leader del Movimento disoccupati, Ninni Gagliardi che si è candidato più volte sia alle provinciali che alle comunali della città dei Bruzi.
Bernaudo e Ruffolo, secondo l’ipotesi dei pm Pierpaolo Bruni e Carlo Villani, all’epoca in cui erano sindaco ed assessore di Rende, avrebbero finanziato la cooperativa «Rende 2000» che sarebbe in qualche modo gestita da Michele Di Puppo, uno degli arrestati, ritenuto un elemento di spicco della cosca e il reggente per il territorio rendese. In cambio avrebbero ottenuto il sostegno in occasione delle elezioni provinciali del 2009, concluse con l’elezione di entrambi. Ruffolo era anche diventato assessore nel nuovo esecutivo, ma si è autosospeso dopo essere stato rinviato a giudizio, nell’ottobre 2010.
A mettere nei guai i due politici alcune intercettazioni telefoniche registrate dall’utenza di Michele Di Puppo. Nel corso delle conversazioni Di Puppo si mostra particolarmente interessato all’andamento del voto provinciale nei collegi di Rende 1 e Rende 2 e si scambia continue informazioni con una terza persona sui risultati nelle singole sezioni scrutinate. Risultati commentati anche con una certa soddisfazione. Secondo quanto è trapelato non ci sono invece intercettazioni che riguardano direttamente Bernaudo o Ruffolo. Ma le indagini non sono affatto concluse.
Ieri sono state effettuate tre perquisizioni alla ricerca di agende anche elettroniche, appunti, computer e documenti utili alle indagini.
Le perquisizioni sono state effettuate presso le abitazioni di Bernaudo e Ruffolo e presso la sede della cooperativa sociale “Rende 2000”.

L’accusa a De Rose: «Minacciava gli elettori»
Il voto che sarebbe stato condizionato dalle cosche riguarda anche un consigliere comunale di Piane Crati, Pierpaolo De Rose, anche lui destinatario di un avviso di garanzia nei confronti del quale la Dda ipotizza i reati di corruzione elettorale e concorso esterno in associazione mafiosa.
La posizione di De Rose, secondo quanto hanno riferito gli inquirenti in conferenza stampa, sarebbe più pesante rispetto a quella dei politici rendesi, perchéavrebbe fatto ricorso ad una serie di minacce durante le elezioni amministrative per il rinnovo del consiglio comunale di Piane Crati.
Un teste, la cui identità al momento è coperta dal più stretto riserbo, che avrebbe raccontato agli inquirenti diversi episodi di minacce verso alcuni elettori. Non solo, sempre secondo questa testimonianza, il clan imponeva ai suoi elettori di apporre dei segni identificativi sulla scheda in modo da poter agevolmente controllare se effettivamente avevano mantenuto la promessa. De Rose, secondo l’accusa, avrebbe agito insieme a Romano Chirillo e Biagio Barbieri, ritenuti affiliati alla cosca Lanzino. La prima sezione della Squadra Mobile di Cosenza ieri ha effettuato una perquisizione presso il domicilio di De Rose ed ha sequestrato computer, agenda e altri documenti che potrebbero essere utili alle indagini.

I boss Lanzino e Presta restano latitanti
Mafia nella politica, usura, estorsioni, tre omicidi, gestione di pacchetti di voti. Ieri, grazie all’operazione della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro sono finiti in carcere 16 dei 18 destinatari delle ordinanze (alcuni già detenuti). Un colpo ai clan cosentini che hanno soffocato le attività commerciali e e che si sono infiltrati nella gestione politica spostando pacchetti di voti, arrivando anche a fare apporre sulle schede segni identificativi dell’avvenuta, “corretta”, scelta elettorale.
La cosca dominante, dopo gli arresti del clan Cicero e del clan Bruni, secondo la Dda era quella Ruà-Lanzino. A gestire la consorteria mafiosa, vista la latitanza di “Ettaruzzu”, secondo l’Antimafia di Catanzaro, era stato delegato Francesco Patitucci, di 50 anni. Dalle sue mani sarebbe passata la gestione del territorio e la divisione degli incassi.
Il gruppo criminale, scrive la Dda, «riconducibile a Lanzino, oggi diretto dal Francesco Patitucci, ha mantenuto equilibrati rapporti con la consorteria criminale facente capo a Domenico Cicero, nonché con quello noto alle cronache giudiziarie come gruppo “Bruni” alias Bella-Bella, con il quale nel 2006 veniva siglata, oltre a una sorta di pax mafiosa, anche un comune accordo per la ripartizione dei proventi illeciti». Praticamente, sottolineano gli inquirenti, dal 2006 «i gruppi criminali riconducibili a Patitucci, Cicero e Bruni, operavano autonomamente ma in costante raccordo, onde evitare nuovi sanguinosi conflitti armati». Tra i reati contestati a vario titolo, associazione mafiosa, omicidio, estorsione, usura, concorso esterno in associazione e voto di scambio. Proprio per quest’ultima ipotesi di reato, ha indagato l’ex sindaco di Rende e consigliere provinciale del Partito democratico, Umberto Bernaudo, il consigliere provinciale ed ex assessore al Bilancio del Comune di Rende, Pietro Ruffolo, e il consigliere comunale ed ex assessore di Piane Crati, Pierpaolo De Rose (neo vincitore del concorso per Polizia provinciale).
Uno degli arrestati, Luigi “Ninni” Gagliardi, è il leader del Movimento Disoccupati e si era candidato più volte ad elezioni locali e regionali, appoggiando, di volta in volta, sia il centrodestra che il centrosinistra.
«Le intercettazioni – spiega il procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro, Borrelli – testimoniano un capillare controllo del voto da parte dei criminali. Sarebbero stati capaci di garantire un preciso numero di voti. O almeno, questa è una ipotesi investigativa su cui ora stiamo lavorando. Non è da escludere anche l’arroganza di far imporre sulle schede dei segni identificativi. Davvero se questo è avvenuto e se le schede sono state conteggiate, vuol dire che non c’è limite al peggio». «Qualsiasi sia la parte politica che governa – aggiunge Lombardo – la criminalità organizzata si infiltra sempre. Per la ‘ndrangheta che governi la Destra o la Sinistra è la stessa cosa. Le ‘ndrine sono trasversali al potere, si adeguano a chi c’è in una determinata area del territorio o scelgono direttamente loro».

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