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POTENZA – Dopo il blitz di carabinieri e fiamme gialle a caccia di scontrini e rendiconti del rimborso per le spese di segreteria e rappresentanza negli uffici del consiglio regionale, lui le aveva chiesto un primo incontro di persona. Poi, però, erano cominciate ad arrivare le convocazioni in procura della Direzione distrettuale antimafia, e a farsi avanti sarebbe stato il figlio, anzi per la precisione suo cognato. Motivo? Difficile pensare a un’improvvisa nostalgia dei tempi andati. Più probabile che sia stata la preoccupazione per le due inchieste dei pm del capoluogo, soltanto che le orecchie dei militari del Ros erano già piazzate, così è venuto a galla pure questo. 
Sono tante le intercettazioni dei collaboratori più stretti dell’ex vicepresidente della giunta regionale Agatino Mancusi agli atti dell’inchiesta per cui i Ros dei carabinieri la scorsa settimana gli hanno notificato un avviso di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa. 
Dopo la scoperta di alcuni vecchi nastri dov’era rimasta impressa la voce di Mancusi a telefono col braccio destro del boss pentito Antonio Cossidente gli investigatori guidati dal luogotenente Michele Ciriello devono aver deciso di non lasciare nulla di intentato, così hanno chiesto e ottenuto di controllare i telefoni e persino le auto di ognuno di loro per «monitorare» in particolare le reazioni che in maniera quasi inevitabile avrebbero scatenato gli inviti a presentarsi come persone informate sui fatti nelle stanze dell’antimafia potentina, dove da tempo si sapeva che era aperto un fascicolo con le accuse di Cossidente nei suoi confronti. 
Quello che ne è venuto fuori è che l’ex collaboratrice di Mancusi – Aurelia Abbascià – nei giorni precedenti alla data indicata per l’interrogatorio aveva ricevuto una visita un po’ strana. Il figlio dell’ex consigliere regionale e il fratello di sua moglie sarebbero andati a trovarla. Non che nessuno di loro abbia fatto esplicito riferimento all’indagine in corso – almeno stando a quanto è emerso – eppure la sola circostanza deve aver dato non poco fastidio al marito, che al telefono ha esternato la sua perplessità. Di qui lo spunto per gli inquirenti che hanno deciso una nuova convocazione della donna dato che alla prima occasione aveva omesso di riferire questo e anche quello che le era accaduto qualche settimana prima, quando i palazzi di via Verrastro tremavano sotto i tacchi degli investigatori di finanza e carabinieri.
Abbascià ha raccontato che dopo aver lasciato la segreteria di Mancusi, un paio d’anni fa, erano state pochissime le occasioni in cui si erano rivisti, nonostante la storica collaborazione. Eppure una volta scoperchiato lo scandalo dei rimborsi per le spese di segreteria e rappresentanza l’ex vicepresidente avrebbe chiesto di incontrarla di persona perché a lungo, assieme alle mille cose che impegnano lo staff di un politico in carriera, era stata proprio lei  ad occuparsi proprio di questo: la gestione della sua contabilità. 
Si parla in particolare dei rimborsi per «l’esercizio del mandato senza vincolo di mandato» che tutti i consiglieri ricevono il 10 di ogni mese per quanto abbiano l’obbligo di rendicontare la maniera in cui sono stati spesi soltanto alla fine dell’anno, presentando un riepilogo e la documentazione giustificativa, ma soltanto in copia, all’ufficio di presidenza del Consiglio. In totale sono 36mila e rotti euro all’anno, e se si considera che dal 2005 a oggi i controlli non sono mai stati effettuati, si capisce che l’andazzo è stato a dir poco rilassato, tant’è che per cambiarlo s’è pensato ad approvare un nuovo regolamento che prevedesse un elenco dettagliato di spese non ammissibili, tra le quali soggiorni in alberghi di lusso, mobilio extra, utenze che non fossero riconducibili direttamente al consigliere e pranzi di “rappresentanza”, oltre una certa somma. Ma le prime indiscrezioni su quanto è emerso dai controlli dei militari raccontano anche di portaborse fantasma, in pratica dei collaboratori che benché risultano assunti non avrebbero mai effettivamente prestato servizio, tantomeno incassato quanto dichiarato ai fini del rimborso. 
Non è questo il caso di Aurelia Abbascià che invece ha lavorato eccome, e davanti agli inquirenti della Dda di Potenza ha spiegato persino che molte delle firme di Mancusi sulla sua documentazione contabile, in realtà le avrebbe messe lei, per praticità. Meglio chiarirle certe cose all’occasione. Specie se all’orizzonte due tempeste sembrano destinate a incrociarsi in maniera quasi inevitabile. 
  

POTENZA – Dopo il blitz di carabinieri e fiamme gialle a caccia di scontrini e rendiconti del rimborso per le spese di segreteria e rappresentanza negli uffici del consiglio regionale, lui le aveva chiesto un primo incontro di persona. Poi, però, erano cominciate ad arrivare le convocazioni in procura della Direzione distrettuale antimafia, e a farsi avanti sarebbe stato il figlio, anzi per la precisione suo cognato. Motivo? Difficile pensare a un’improvvisa nostalgia dei tempi andati. Più probabile che sia stata la preoccupazione per le due inchieste dei pm del capoluogo, soltanto che le orecchie dei militari del Ros erano già piazzate, così è venuto a galla pure questo. Sono tante le intercettazioni dei collaboratori più stretti dell’ex vicepresidente della giunta regionale Agatino Mancusi agli atti dell’inchiesta per cui i Ros dei carabinieri la scorsa settimana gli hanno notificato un avviso di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa. Dopo la scoperta di alcuni vecchi nastri dov’era rimasta impressa la voce di Mancusi a telefono col braccio destro del boss pentito Antonio Cossidente gli investigatori guidati dal luogotenente Michele Ciriello devono aver deciso di non lasciare nulla di intentato, così hanno chiesto e ottenuto di controllare i telefoni e persino le auto di ognuno di loro per «monitorare» in particolare le reazioni che in maniera quasi inevitabile avrebbero scatenato gli inviti a presentarsi come persone informate sui fatti nelle stanze dell’antimafia potentina, dove da tempo si sapeva che era aperto un fascicolo con le accuse di Cossidente nei suoi confronti. 

 

Quello che ne è venuto fuori è che l’ex collaboratrice di Mancusi – Aurelia Abbascià – nei giorni precedenti alla data indicata per l’interrogatorio aveva ricevuto una visita un po’ strana. Il figlio dell’ex consigliere regionale e il fratello di sua moglie sarebbero andati a trovarla. Non che nessuno di loro abbia fatto esplicito riferimento all’indagine in corso – almeno stando a quanto è emerso – eppure la sola circostanza deve aver dato non poco fastidio al marito, che al telefono ha esternato la sua perplessità. Di qui lo spunto per gli inquirenti che hanno deciso una nuova convocazione della donna dato che alla prima occasione aveva omesso di riferire questo e anche quello che le era accaduto qualche settimana prima, quando i palazzi di via Verrastro tremavano sotto i tacchi degli investigatori di finanza e carabinieri.Abbascià ha raccontato che dopo aver lasciato la segreteria di Mancusi, un paio d’anni fa, erano state pochissime le occasioni in cui si erano rivisti, nonostante la storica collaborazione. Eppure una volta scoperchiato lo scandalo dei rimborsi per le spese di segreteria e rappresentanza l’ex vicepresidente avrebbe chiesto di incontrarla di persona perché a lungo, assieme alle mille cose che impegnano lo staff di un politico in carriera, era stata proprio lei  ad occuparsi proprio di questo: la gestione della sua contabilità. Si parla in particolare dei rimborsi per «l’esercizio del mandato senza vincolo di mandato» che tutti i consiglieri ricevono il 10 di ogni mese per quanto abbiano l’obbligo di rendicontare la maniera in cui sono stati spesi soltanto alla fine dell’anno, presentando un riepilogo e la documentazione giustificativa, ma soltanto in copia, all’ufficio di presidenza del Consiglio. 

In totale sono 36mila e rotti euro all’anno, e se si considera che dal 2005 a oggi i controlli non sono mai stati effettuati, si capisce che l’andazzo è stato a dir poco rilassato, tant’è che per cambiarlo s’è pensato ad approvare un nuovo regolamento che prevedesse un elenco dettagliato di spese non ammissibili, tra le quali soggiorni in alberghi di lusso, mobilio extra, utenze che non fossero riconducibili direttamente al consigliere e pranzi di “rappresentanza”, oltre una certa somma. Ma le prime indiscrezioni su quanto è emerso dai controlli dei militari raccontano anche di portaborse fantasma, in pratica dei collaboratori che benché risultano assunti non avrebbero mai effettivamente prestato servizio, tantomeno incassato quanto dichiarato ai fini del rimborso. Non è questo il caso di Aurelia Abbascià che invece ha lavorato eccome, e davanti agli inquirenti della Dda di Potenza ha spiegato persino che molte delle firme di Mancusi sulla sua documentazione contabile, in realtà le avrebbe messe lei, per praticità. Meglio chiarirle certe cose all’occasione. Specie se all’orizzonte due tempeste sembrano destinate a incrociarsi in maniera quasi inevitabile.   

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