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CATANZARO – «Anche in questo caso il reato contestato difetta in assoluto dei suoi elementi costitutivi e non sussiste». Sono le conclusioni con le quali, lo scorso 29 novembre, il gip di Salerno Dolores Zarone ha rigettato la misura interdittiva richiesta, con istanza depositata l’8 agosto del 2012, dai pm campani Franco Roberti e Rocco Alfano, nei confronti di tre magistrati del distretto di Catanzaro. Si tratta dei pm Giampaolo Boninsegna e Paolo Petrolo e del giudice Giancarlo Bianchi.
Il gip Zarone ha quindi ritenuto prive di fondamento le accuse di rivelazione di segreti d’ufficio aggravate dal presunto intento di agevolare la cosca Mancuso di Limbadi, contestate ai pm Boninsegna e Petrolo, e due ipotesi di abuso d’ufficio, senza alcuna aggravante, contestate al giudice Bianchi. L’inchiesta della Procura di Salerno, che ha impugnato il rigetto della misura interdittiva, trae origine da un’indagine denominata “Purgatorio”, si legge nel decreto del gip Zarone, pendente alla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro dal 2009 «diretta ad accertare l’esistenza e l’operatività nel Vibonese di un’associazione ’ndranghetista facente capo a Mancuso Pantaleone cl. ’47». Nel corso dell’indagine catanzarese sono state autorizzate anche le intercettazioni a carico dell’avvocato Antonio Galati del foro di Vibo Valentia, che aveva rapporti di frequentazione e conoscenza con i magistrati per i quali gli atti erano stati trasferiti a Salerno affinché fossero adottate le valutazioni di competenza. I pm di Salerno, ritenendo a carico dei magistrati l’esistenza di profili penalmente rilevanti, hanno chiesto la misura cautelare interdittiva. Il gip, giudicando invece carenti o, su certe contestazioni, del tutto inesistenti gli indizi a carico, ha respinto la richiesta. Gli stessi pm hanno poi presentato ricorso in sede di Riesame.

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