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MATERA prova a cambiare rimanendo uguale a sé stessa. Nei limiti di un territorio che sforna ogni giorno motivi di preoccupazione e di un popolo che non riesce probabilmente ad avere il coraggio sufficiente per affrontare gli eventi di petto senza subirli. Almeno ai miei occhi.

E’ la sensazione che spesso, molto spesso, si legge nelle espressioni stupefatte di chi questa realtà, questo scenario, i Sassi li vede per la prima volta. E’ quello il sapore che traspare di un mondo unico che probabilmente non c’è più.

A questo però c’è da aggiungere anche dell’altro ossia una città che riesce a cambiare, a rimanere al passo con i tempi, a fronteggiare anche le difficoltà e le brutture che si presentano mantenendo una propria identità, uguale e diversa come è normale in un’evoluzione. E’ quello che succede alle persone. Non sono quasi mai le stesse a vent’anni e a sessanta, cambiano, si evolvono. A volte peggiorano, a volte no. Ma è nella natura delle cose. Io sono convinto che Matera abbia mantenuto di fondo alcuni dei valori che l’hanno caratterizzata, mi ritrovo molto in quell’immagine di una generazione, quelli che sono i sessantenni o i settantenni di oggi, che continua ad avere il loro pezzettino di terreno da coltivare. Non più un lavoro, un’occupazione a tempo pieno come era molto tempo fa ma una gioia comunque a cui non si riesce ancora a rinunciare.

Così come riesco ogni volta ad emozionarmi nel vedere la partecipazione che un evento che si ripete uguale a sé stesso da millenni come la festa della bruna riesce a dare a tanti materani. Lì le origini traspaiono evidenti, magari non nel momento conclusivo finale della distruzione nel quale intervengono anche elementi nuovi e “infiltrazioni” turistiche ma soprattutto nel momento iniziale. La partecipazione enorme, numerosa di migliaia di persone, di materani alle 5 del mattino alla Processione dei Pastori con molti giovani è un altro esempio di un’anima che sopravvive, di radici che continuano ad emergere in tutta la loro evidenza.

Ho letto in questi giorni di paradossi su quale dovrebbe essere la città della cultura. Io credo che la cultura dovrebbe riuscire anche ad evolversi, a crescere senza perdere mai di vista quello che è stato. Rimanere uguali a sé stessi, non cambiare mai, piacerebbe a molti ma non ci è consentito. Se poi si vuol discutere dell’opportunità di sfruttare i Sassi sotto il profilo turistico è altra cosa ancora, ma mi chiedo se davvero  chi li ha visitati negli anni 50 e li ha definiti “vergogna nazionale” abbia immaginato, pensato che potessero rimanere uguali a come erano per millenni. Aggiustati, ripuliti  ma immutabili. O se forse dovevano migliorare, cambiare, evolversi. Il recupero è avvenuto, in parte sono tornati a vivere ma purtroppo la vita non è più la stessa. Anche i Sassi non possono essere più quelli di allora. Sto dicendo forse delle banalità, ma banalità che rappresentano la realtà. Non si possono tenere sotto una campana di vetro come fossero uno di quei souvenir che si comprano in giro per il mondo.

Un altro ancora era il concetto che mi piaceva sottolineare in questo dibattito ed è l’evoluzione che c’è stata negli anni. Matera nasce da una civiltà contadina, poi è stata per anni ancorata al falso mito del mobile imbottito che oggi cade brutalmente. Ora cerca e in parte trova un’ancora di salvezza nel turismo e nella cultura. Difficile capire se ce la farà anche perché molto è condizionato da un’indole troppo “indolente” e da un pizzico di coraggio in più, di rischio, nel far le cose. Sarà importante imparare   a guardare al domani prima ancora che all’oggi ed allora forse una speranza ci sarà. Di certo questa capacità di trovare una via d’uscita, di adeguarsi ai tempi e ai suoi cambiamenti di non rimanere sempre immobile ed uguale a sé stessa non è da tutti. Matera soffre, annaspa, si dibatte ma si rimette in piedi. Con gli stenti, le difficoltà, la crisi che l’attanagliano ma con una via d’uscita che riesce comunque ad “inventarsi”. Il bicchiere, (non è una citazione particolarmente colta ma ritengo che renda quantomai l’idea), si può vedere sempre mezzo pieno o mezzo vuoto. Ma tra i problemi e la crisi general ediventa giocoforza necessario instillare a noi stessi, prima di tutto, un pizzico in più di ottimismo. Per non cambiare troppo ma solo quanto basta.

p.quarto@luedi.it

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