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POTENZA – Era tra i pochi passati indenni dal processo contro i basilischi Pasquale Marino. Ma cinque anni dopo non ce l’ha fatta e le parole dei pentiti più quelle registrate dalle microspie nell’auto di un “compare” gli sono costate una condanna a 9 anni in primo grado per associazione mafiosa.

«La delicatezza delle questioni trattate nel corso delle conversazioni, unitamente al riferimento, spesso anche in termini critici, alle modalità di gestione degli affari operate da Saverio Riviezzi, il coinvolgimento nella discussione di altre persone chiaramente cointeressate agli affari del gruppo, depongono per la sicura individuazione nell’interlocutore chiamato “Pasquale” nel corso della conversazione dell’imputato Marino». Scrivono i giudici Ivana Salvatore e Federica Villano, nelle motivazioni della sentenza con cui il 20 luglio dell’anno scorso hanno distribuito 87 anni di reclusione tra i presunti esponenti del clan Riviezzi. Tra loro c’è anche Pasquale Marino, il 40enne nato in Svizzera ma da sempre residente a Pignola, fermato domenica sera dai carabinieri con l’accusa di tentato omicidio aggravato.

Per i magistrati che gli hanno inflitto 9 anni di reclusione, sono due gli elementi che dimostrano l’inserimento di Marino nel clan guidato da Saverio Riviezzi, il 49enne ex pugile e boscaiolo proprio come Marino, considerato dagli investigatori l’ultimo boss della vecchia famiglia basilisca. Il primo sono le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, e il secondo un paio di conversazioni captate nell’auto di Nicola Sarli, storico esponente del clan, già condannato a 5 anni nel processo alla quinta mafia e di recente ad altri 10 più 12 nei due processi paralleli sulla “guerra fredda” tra pignolesi e potentini dopo la scissione del gruppo, per le sue aderenze con entrambe le compagini.

«Stammi a sentire Pasqua’». Queste le parole di Sarli a Marino finite sui nastri della Squadra mobile di Potenza. «Se ci mettiamo io, tu, Saverio e Mimmo li facciamo tremare a quei quattro scemi, perché non ci manca niente, non ci manca niente Pasqua’. Allora fra di noi queste cioterie non ci devono proprio essere». Affermazioni da cui secondo i giudici si evincerebbe «l’esistenza di un gruppo formato da Nicola Sarli, Domenico Riviezzi, Saverio Riviezzi (fratello minore del primo, ndr) e Pasquale Marino, nonché i propositi di crescita e consolidamento dello stesso».

Poi c’è un’altra intercettazione in cui Sarli e Marino sembrano fare riferimento «alla condivisione dei mezzi necessari al compimento delle attività (del clan, ndr), alla ripartizione dei guadagni tra sodali (ritenuta iniqua da Sarlo e al mantenimento economico da assicurare nel caso di detenzione».

«Io per esempio quando è stato il fatto del gruppo… Il gruppo era il mio, Nico’ – spiega Marino a Sarli a proposito di quello che sembra un prestito a un amico mai restituito – io glielo feci tenere a mastro Rocco e glielo fregarono. Che facevo? Mi facevo dare i soldi mi facevo dare? Gliel’hanno fregato, che cazzo gli devo fare. E’ così». E via ancora discorsi su chi si è preso di più e chi si è preso di meno. Di cosa i due non lo dicono ma non è difficile da immaginare.

«Cossidente ha in particolare riferito della sua operatività nel settore del traffico degli stupefacenti». Scrivono i magistrati citando le dichiarazioni del capo pentito degli eredi potentini dei vecchi basilischi. Un’accusa confermata anche dal fondatore della quinta mafia, l’ex pentito Gino Cosentino, a cui si è sommata quella di aver avuto un ruolo nei traffici d’armi per il gruppo dei pignolesi. In più Marino si sarebbe occupato della consegna di denaro da Cossidente a Riviezzi quando quest’ultimo era detenuto. Donato Caggiano, invece, ha parlato di una volta negli anni ‘90 in cui diede ospitalità sia a Marino che a Riviezzi in un posto a sua disposizione dove potessero studiare l’ordinanza di custodia cautelare appena disposta nei loro confronti e valutare se costituirsi o meno.

l.amato@luedi.it

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