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Nei giorni scorsi ho letto una notizia che mi ha fatto doppiamente inorridire. Un suicidio, l’ennesimo suicidio di una ragazzina di appena 16 anni. Ne avrebbe fatti 17 ad agosto. Una ragazzina – sembra – molto brava, impegnata nel volontariato e con voti molto alti a scuola. Sembra che i genitori le avessero negato la partenza per la Cina, viaggio a cui teneva molto e che si aspettava di poter fare vista la media alta dei suoi voti.

I genitori le avrebbero negato il viaggio. E nello zainetto ritrovato sul terrazzo della scuola dal quale la giovane si è lanciata nel vuoto, c’erano frasi contro i genitori. Non so nei particolari cosa la ragazzina avesse scritto. Fatto sta che i giudici di non ricordo quale tribunale hanno deciso di incriminare il padre e la madre per maltrattamenti e istigazione al suicidio.

Premetto che non conosco tutta la vicenda nei particolari, ho letto solo un paio di articoli. Ma comunque questi atti di accusa mi hanno fatto rabbrividire. Perchè so bene, avendolo visto con i miei occhi, cosa significa per un genitore il suicidio di un figlio. Avete mai ascoltato le urla straziate di una madre che sa che non rivedrà più suo figlio? Riuscite a immaginare con quanti sensi di colpa si debba sopravvivere a colui che si è messo al mondo?

Maltrattamenti sarebbero stati i divieti: di partire per un viaggio dall’altra parte del mondo, di uscire con gli amici la sera. Istigazione al suicidio perchè la ragazza avrebbe più volte detto ai genitori che le negavano qualcosa: “Io mi uccido”. Ripeto: non conosco tutti i particolari della vicenda, ma questa decisione dei giudici mi sembra semplicemente folle. E mi sembra avvallare questa tragica fragilità dei nostri ragazzi.

Non ritengo di essere stata maltrattata da giovane, ma anche mia madre mi impediva di uscire la sera. Quando ci ritroviamo tutti insieme con le sorelle e mio fratello, ridiamo a crepapelle su quante botte ci ha dato mia madre, che ci rincorreva lanciando zoccoli. Ho ricevuto mille divieti, mi ricordo di aver supplicato in ginocchio per due ore di fila mia madre perchè mi permettesse di andare a una festa. Ora che sono grande e ho due figli capisco i suoi no e la ringrazio pure per gli zoccoli tirati dietro. Non credo fossero maltrattamenti. Era severità che mi ha consentito di crescere sapendo che alcune cose si possono fare, altre no. Questo non è ovviamente un elogio alle botte, ma è per dire che un tempo era normale sentirsi dire no. E nessuno ha mai vissuto questo come un trauma.

Ora siamo dietro a ogni lamento dei nostri figli ed è una critica che faccio prima di tutto a me stessa. Siamo lì a parlare, spiegare, capire, aiutare, sostenere. Anche perchè ci sentiamo sempre in colpa per il poco tempo che riusciamo a dedicare loro. E li viziamo a tal punto che il no è diventato un dramma, un trauma. E così loro crescono non riuscendo a sopportare l’idea che la maestra possa poi mettergli un brutto voto, che possa bocciarli anche. Ci sono genitori che hanno picchiato maestri e professori per questo. Ragazzi che non riescono ad accettare la severità, il rifiuto, l’attesa. E se oggi non riescono a partire per un altro continente non ha più senso vivere.

Li stiamo addestrando a cadere alla prima difficoltà, li stiamo votando all’infelicità. E non ci saremo sempre per sostenerli. Non potremo essere in ogni luogo per evitare che soffrano. Che anche la sofferenza poi è una parte della vita. E dovremmo cominciare a smetterla di far da filtro.

 Perchè soffriranno comunque e non saranno in grado di andare avanti. E nemmeno noi

 

 

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