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di SVEVA STANCATI
Caorso, come molti sanno, è un piccolo paesino in provincia di Piacenza. Un paesino come tanti, un piccolo borgo di gente per bene, che vive della propria terra, che lavora senza troppo rumore, senza meritare le attenzioni del mondo. Eppure questo paese di 4500 anime appena, ha qualcosa di speciale: una grande ombra oscura i tetti del comune piacentino. La chiamano “Arturo”, un nome dal suono familiare che esorcizzi il timore per quella che è la più grande centrale nucleare mai entrata in attività nel nostro paese. “Arturo”, così come le altre tre centrali costruite in Italia, è stata spenta dopo il referendum del 9 novembre 1987 con il quale la gente disse no a un programma di nuclearizzazione a uso civile. Nove i miliardi di euro spesi per smantellare una struttura che, di fatto, non è mai entrata in funzione. Le cose vanno così in questo paese: si appalta, si spende, si costruisce e poi, solo quando un bel po’ di tasche sono state riempite, ci si chiede: e adesso cosa ne facciamo? Così ci troviamo sommersi di strade mai percorse, case nelle quali nessuno andrà mai ad abitare, fabbriche le cui macchine nuove di zecca non saranno mai consumate. Sono gli errori che lasciano enormi relitti nati inutili, figli illegittimi di una società che non li vuole. Ma con “Arturo” la cosa è ben diversa, perché un reattore nucleare è uno sbaglio che non si lascia dimenticare, una presenza troppo ingombrante perché si possa aspettare che il tempo ne nasconda le tracce. Una centrale non si spegne con la stessa facilità con la quale si preme l’interruttore della luce di casa! Il materiale radioattivo impiega secoli, millenni a volte, per decadere e, in ogni caso, lascia una traccia di sé sotto forma di scorie (più o meno radioattive a seconda dei casi). Dopo anni di interminabili discussioni, inutili giri di parole, si è deciso che il 97 % del carburante radioattivo ancora presente a Caorso sarà trasferito in Francia dove, con costi per noi elevatissimi, verrà recuperato grazie a quelle tecnologie delle quali l’Italia non dispone. Le scorie, però, torneranno a noi e questo è decisamente un bel problema: il nostro paese, infatti, ha all’epoca avviato un programma di nuclearizzazione senza prima fornirsi dei centri di stoccaggio per scorie prodotte dalle fissioni. Di fatto a oggi non esistono siti dove questi materiali possano essere stoccati in sicurezza. Dopo la chiusura delle centrali nucleari, in Italia sono rimasti 55.000 metri cubi di scorie radioattive, 35.000 di queste conservate ancora nelle centrali in attesa di demolizione. Il restante materiale é ‘temporaneamente’ parcheggiato da trent’anni nei depositi di Saluggia (Piemonte) e di Casaccia (Lazio) in attesa che qualcuno decida il da farsi. 9 luglio 2009: il Senato ha approvato con 154 voti favorevoli, un astenuto e un solo contrario, il Ddl che segna il ritorno del nucleare in Italia. Oggi il mondo si trova a dover affrontare la sua prima, vera, crisi energetica: il petrolio e gli altri carburanti fossili stanno per terminare, il tasso d’ inquinamento ha raggiunto il suo massimo storico e tutto porta a pensare che le cose possano solo peggiorare. L’obiezione di tanti è che si potrebbe investire nelle fonti di energia rinnovabile (eolica, solare, idrica) a bassissimo impatto ambientale e prive di fattori di rischi. La proposta, pur non essendo sottovalutabile, deve tener conto dei limiti oggettivi che al momento questi tipi di tecnologie incontrano. Le energie rinnovabili sono un settore in rapida crescita e, secondo molti, diverranno le tecnologie del futuro, ma non hanno ancora raggiunto un livello tale di sviluppo da poter corrispondere al crescente fabbisogno energetico del paese. Il nucleare dell’ultima generazione quindi, con le sue tecnologie sempre più avanzate e sicure, i suoi costi moderati ed il suo contenibile impatto ambientale, sembra essere la migliore tra le scelte possibili. Questo non significa, però, che debba essere presa con la superficialità che tipicamente accompagna le decisioni di questa Nazione. Un paese, il nostro, che porta ancora ben visibili le cicatrici dei suoi errori e delle leggerezze di cui ancora sta pagando le conseguenze. Nucleare si ma, almeno questa volta, vediamo di non dovercene pentire.

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