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E’ il punto di riferimento di Franceschini, in Basilicata e non solo. Salvatore Margiotta, uno dei leader indiscussi della politica lucana e del Pd al Quotidiano parla senza rete delle dinamiche congressuali democratiche.
Onorevole Margiotta, lei è “amico” di Dario Franceschini. Quali i motivi, secondo lei, per cui sarebbe un bene per il Pd che sia riconfermato segretario nazionale? Quali le differenze tra lo stesso Franceschini e Bersani?
«Non ho avuto dubbi nello scegliere Franceschini; certo, hanno avuto un peso la mia amicizia personale antica e sincera con Dario, e la mia qualità di socio fondatore dell’area politica Quarta Fase. Però i motivi della mia adesione sono ben più profondi: io credo che il Pd si sia liberato troppo frettolosamente della leadership di Veltroni, che certamente ha commesso errori (il più grave dei quali, a mio parere, è l’alleanza alle politiche con l’IdV), è però innegabile che abbia rappresentato lo spirito stesso del Pd. Il 14 ottobre 2007 siamo andati in tre milioni alle urne entusiasti e convinti, persino quelli più scettici, che stavamo partecipando ad un grande progetto, ad una grande impresa, che trascendeva i partiti originari e le loro oligarchie, e chiamava al protagonismo nuovi ceti, nuove persone, nuovi mondi. Il risultato delle politiche, perdente certo, ma nel quale abbiamo conseguito quasi dieci punti percentuali in più rispetto alle europee di quest’anno (quando lo replicheremo?), era frutto anche di quell’entusiasmo, di quella concezione di partito. Dario, in quel solco, ma correggendo quanto vi è da correggere, vuole costruire il partito democratico che abbiamo desiderato e sognato; Bersani, nella sostanza, propone una svolta ed un ritorno al passato. Dario vuole andare avanti, guardare al futuro, superare le tradizioni del secolo scorso. Bersani si richiama con orgoglio ad una storia di 150 anni. Noi la rispettiamo e ne siamo fieri, ma vogliamo superarla, non vogliamo che sia un fardello che ci impedisca di vivere nei nostri tempi, e di costruire i tempi che verranno per le prossime generazioni. Noi vogliamo un partito laico (fu Dario, nella scorsa legislatura, ad ispirare la lettera che firmammo in 60 parlamentari cattolico-democratici, per spiegare il rapporto tra la nostra scelta di fede e la laicità nelle scelte politiche: su questo non accettiamo lezioni da nessuno), plurale, di centrosinistra, senza trattino, la cui vocazione maggioritaria non sia una volontà di splendido isolamento, ma, al contrario, la capacità di costruire alleanze e coalizioni partendo dalla centralità dei nostri programmi e dalla nostra capacità di parlare a tutta la società italiana, senza delegare ad alcuno, ad esempio, la rappresentanza del centro; un partito che creda nel bipolarismo, e che ritenga che da esso non si torna indietro; che metta al centro della sua azione il metodo delle primarie per le scelte fondamentali della propria vita, con apertura a tutti gli elettori, e non solo agli iscritti. Insomma, noi siamo per il partito democratico, Bersani nella sostanza per l’ennesimo allargamento del ceppo ex Ds, che, fagocitando al suo interno l’area cattolico-democratica, rappresenti una sinistra moderna. Noi scriveremo una storia nuova, Bersani vuole aggiornare quella vecchia».
Veniamo alla Basilicata. Due candidati bersaniani, più uno per Marino e infine Restaino che da segretario in carica si candida come riferimento lucano della mozione Franceschini. Chi vincerà? E si potevano evitare tanti candidati che rischiano di dividere il Pd lucano?
«Vincerà Erminio, ne sono convinto. Usciremo in testa dalla prima fase congressuale, quella riservata agli iscritti, ed alle primarie del 25 ottobre puntiamo a superare il 50 per cento in modo da rendere una pura formalità la elezione in assemblea regionale. Piuttosto dispiace che si sia in questa situazione. Io avevo sostenuto che ci fossero le condizioni, in Basilicata, di non replicare fedelmente e pedissequamente le divisioni nazionali, e di imporre una nostra autonomia, in una visione autenticamente federale del partito. Avevamo eletto all’unanimità Erminio a fine maggio: egli ha poi lavorato molto bene in questi due mesi, nel condurre la campagna elettorale, nella relazione con Udc e Idv, nella fase di costituzione delle giunte. C’erano tutti i presupposti per confermargli la fiducia, per un periodo congruo di transizione, per tornare poi a investire sul rinnovamento. Credo che lo meritasse, e che sarebbe stato utile per il partito. Purtroppo questa volta, con la moltiplicazione delle candidature, per finalità non sempre puramente congressuali, abbiamo perso una grande occasione di ribadire la specificità lucana del Pd e imporre anche a Roma il nostro modello».
Gianni Pittella, da coordinatore per il Mezzogiorno della mozione Bersani ha sollevato critiche a Franceschini. Lei come vede la questione?
«Guardi, Gianni è una personalità importante del Pd, che stimo e di cui mi ritengo amico. Qualche giorno fa, tramite sms, lo ho anche un po’ rimproverato per alcune critiche a Dario che ritenevo ingenerose. Siamo però in campagna congressuale, e Gianni deve fare la sua parte. E’ comprensibile. Piuttosto proprio il consenso di Pittella in Basilicata è stato figlio di quella unità del partito lucano, valore che avremmo dovuto preservare in questa vicenda: è uno dei maggiori leader dello schieramento di Bersani, eppure qui lo abbiamo votato e fatto votare tutti, indipendentemente dalle nostre appartenenze. Né Dario avrebbe mai chiesto a me, lucano, di non sostenere Gianni. Questa è la nostra specificità, la nostra autonomia: questo ci rende forti; questo è il patrimonio, il metodo e lo stile che avrebbe dovuto trovarci convergenti sulla candidatura di Erminio, al di là delle differenziazioni nazionali».
In ogni caso, perché gli ex diellini sono riusciti a fare sintesi con un solo candidato mentre gli ex diessini si sono divisi tra bersaniani (Adduce e Speranza) e poi con Altobello che corre per Marino?
«Potrei cavarmela con una battuta e dire che per una volta siamo stati più bravi noi. Aggiungo che ovviamente siamo stati facilitati dall’avere tra le nostre fila il segretario in carica e dall’avere ritrovato, all’interno della mozione Franceschini solidarietà personali che si erano un po’ attenuate, per tanti motivi, e che è stato però facile rimettere insieme, in una sintonia destinata a diventare sempre maggiore. Penso, ad esempio, al ruolo da protagonista destinato a giocare nel partito una personalità di grande peso politico quale Vito Santarsiero. Era inevitabile che Marino puntasse in Basilicata su un ex ds, ed ha trovato a sostenerlo un dirigente di primo piano quale Sabino. Per quanto riguarda la divisione dei bersaniani, è certamente la vera novità politica di questa fase. Senza volermi intromettere nelle loro cose (che poi sono anche un po’ le nostre: il Pd è uno!) sottolineo che negli ultimi mesi alcune differenze di vedute in seno al gruppo dirigente dalemiano si erano andate acuendo, e questa conclusione, definitiva o meno che sia, era inevitabile: a maggior ragione, insisto, nella difficoltà di fare sintesi attorno ad un solo candidato bersaniano sarebbe stato utile convergere tutti su Restaino».
Crede che il tema interno al Pd lucano sia davvero la contrapposizione tra giovani e “grandi”?
«No. Lo dico con chiarezza. Questo è un tema falso. Questo biennio ha visto la segreteria di un giovanissimo, bravo, Piero Lacorazza, che ha avuto la piena solidarietà di quelli un po’ più grandi. I tormenti del partito, forti, sono stati assolutamente indipendenti da tale contrapposizione, né l’avere un segretario giovane è stato risolutivo degli stessi. Il Pd è un partito complesso, che di tutto ha bisogno tranne che di contrapposizioni generazionali. Ha bisogno, invece, di un rinnovamento graduale e costante, di circolarità di classe dirigente, di qualità della stessa, di superare sterili personalismi. Se ai personalismi dei cinquantenni sostituiamo quelli dei più giovani, non facciamo grande strada. Io ho molta stima, e lo sa, di Roberto Speranza: penso, però, che non era il momento di lanciarsi in questa competizione, proprio perché, date le sue qualità, egli avrebbe potuto proporsi, nella fase giusta (forse in un tempo molto più vicino di quanto potesse credere!) come uomo dell’unità, anziché come personalità di parte. Avrebbe potuto costituire la sintesi, anziché essere l’antitesi. Ma tant’è. Peraltro, come sarà sempre più chiaro, tanti giovani e giovanissimi sosterranno Erminio e Dario. Infine, sulla vicenda, mi lasci fare una battuta personale: ho 45 anni, e sono deputato da soli tre anni; per motivi anagrafici e di giovinezza istituzionale, sono l’ultimo a doversi preoccupare del rinnovamento!».
Ma in vista delle prossime elezioni regionali, serve un Pd unito per stoppare le velleità del centrodestra e del Pdl. E’ possibile anche in virtù delle scelte congressuali locali ricomporre le fratture?
«Si, le ricomporremo. Non credo di essere di parte se dico che sarà più facile riuscirci se la guida del partito sarà affidata, dagli elettori, alla saggezza tattica ed alla sapienza politica di Erminio. E saremo tanto più forti, alle prossime elezioni, quanto più saremo uniti».
Centrodestra, dopo la sconfitta bruciante alle ultime elezioni amministrative si parla della possibile candidatura di Attilio Martorano. Quale il suo pensiero in merito?
«Il centro-destra le sta provando tutte. Dopo avere perso le amministrative candidando ai vertici due persone provenienti dal centro-sinistra, e in un caso dal Pd, ora, si dice, si voglia affidare ad Attilio Martorano. Come se davvero non volessero, o non potessero, mai puntare su un proprio dirigente. Non sono sicurissimo che sia questo il progetto politico di Attilio: sminuirebbe e svilirebbe, a mio parere, il suo ruolo nella società lucana. In ogni caso, se così fosse, sarebbe destinato ad una sconfitta elettorale: una cosa è certa, ed è che l’anno venturo vinceremo di nuovo».
De Filippo naturale ricandidato del centrosinistra per la guida della Regione?
«La mia opinione è esattamente questa. Per più considerazioni: è al primo mandato ed il Pd nazionale in genere è per la conferma dei Presidenti. E’ il Presidente dell’unica regione in cui il centro-sinistra ha vinto tutte le competizioni elettorali importanti, due mesi fa: e in quella circostanza, alcuni dati territoriali hanno anche confermato il suo personale appeal elettorale. Soprattutto, pur in una consiliatura difficilissima e tormentata, durante la quale i partiti sono morti e nati, e dunque in assenza di un costante puntello dei partiti di riferimento, i risultati ottenuti dalla Giunta (si pensi ad esempio al consiglio di questa settimana) autorizzano Vito a nutrire l’ambizione di una riconferma. Ovviamente bisognerà che vi siano convergenze largamente maggioritarie nel partito. Poi, se vince Dario, certamente si faranno le primarie per i candidati Presidenti in ogni regione: ed anche in questo caso, Vito avrebbe le carte in regola per vincerle».
Analisi del voto di giugno…
«La stagione congressuale, entrata subito nel vivo, non ha consentito di svolgere una serena e lucida analisi del voto sul territorio lucano. La vittoria del centro-sinistra in tutte le competizioni in atto, il rotondo 3 a 0 che abbiamo realizzato alle due Province, e, sia pure dopo il ballottaggio, nella città di Potenza non può e non deve nascondere il netto arretramento del Pd, che emerge chiaramente confrontando i dati della somma delle due liste (di partito e civica) nel 2009, con quello della somma di Margherita e Ds nel 2004, alle provinciali e nella stessa città di Potenza; alle europee il Pd lucano perde il 7 per cento rispetto al 2004, e ben il 9 per cento rispetto alle politiche dell’anno scorso! Insomma la flessione c’è stata, ed è stata netta: hanno concorso a questo risultato il clima politico nazionale, ma anche alcuni dati lucani, in particolare la litigiosità interna al partito nell’ultimo anno, e la vera e propria mini-scissione che si è determinata con la nascita del partito dei Dec, che ha indubitabilmente eroso consensi al Pd. Evidenzio questi dati non per avanzare strumentali critiche contro singoli dirigenti di partito, e men che meno contro la segreteria Lacorazza, ma perché si sia tutti consapevoli, durante il dibattito congressuale, che il partito lucano, al pari, e per certi versi più di quello nazionale, non gode di ottima salute. Ben venga dunque il confronto, lo scontro, la competizione, purchè sia chiaro, che, anche se “competition is competition”, l’obiettivo comune deve essere quello di ritrovarci, dopo il 25 ottobre, in un partito più forte e dinamico».
Partito del Sud: che cosa ne pensa?
«Non credo, per mia cultura politica, ai partiti territoriali. Comprendo molto, invece, da deputato, l’irritazione dei tanti colleghi del Pdl, costretti fino ad oggi a votare provvedimenti contrari agli interessi del Mezzogiorno, quelli, ad esempio, che hanno sottratto i fondi Fas destinati al Sud per altre finalità. Si stanno ribellando, e fanno bene. E la loro insofferenza costituirà, a mio parere, uno degli aspetti di instabilità della maggioranza, e dunque interessanti per un Pd che ritrovi smalto, dinamismo, capacità di iniziativa.
Quello che faremo, dopo il 25 ottobre, quando Dario sarà eletto segretario».
Salvatore Santoro

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