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di LEO AMATO
POTENZA – «Il nostro biglietto da visita è la qualità del servizio che riusciamo a offrire alle persone che si rivolgono a noi». Il responsabile del centro dialisi che è finito al centro delle attenzioni della procura non ha un attimo di esitazione. «Vuole vedere il centro? E allora andiamo». Ieri mattina Enzo Basentini era di passaggio in piazza Mario Pagano tra la gente accorsa per ascoltare Dario Franceschini. Qualche ora dopo il suo socio ha risposto alle domande del Quotidiano, senza esitare anche alla richiesta di visitare il centro Sm2, che si trova a Potenza in via Pierre De Coubertin, dalle parti di Macchia Romana. Michele Santangelo è un uomo sulla cinquantina che non ama apparire sui giornali, ma è cortese e disponibile.
Quanto vi costa una seduta di dialisi?
«Noi prendiamo quanto è previsto dal tariffario regionale, e le posso garantire che il servizio che riusciamo a offrire non ha uguali. Ci teniamo veramente alle persone: medici e infermieri sono tutti specializzati, e non temono confronti. Sanno che dall’altra parte un giorno potranno starci loro, e non risparmiano attenzioni. Noi compriamo i giornali, mandiamo a prendere i cornetti tutti i giorni, abbiamo un’auto per portare le persone che non riescono a spostarsi coi loro mezzi, e non chiediamo una lira di più al servizio sanitario. Lavoriamo sul livello di efficienza della nostra struttura perché se andiamo in passivo qui non c’è nessuno che ripiana le perdite, come succede nelle strutture pubbliche».
Ma quanti sono i vostri pazienti?
«Abbiamo sedici postazioni, e diciotto pazienti. Dove sta questa emorragia dal reparto dialisi del San Carlo? Quando abbiamo rilevato la struttura nel 2006 erano otto, prima ancora, quando ci lavoravano i medici del San Carlo erano 80».
Quando arriva Enzo Basentini si va a vedere il centro, che al pian terreno di una palazzina di tre piani. Basentini si lamenta per le condizioni del pavimento all’ingresso. «A settembre partono i lavori», lo rassicura Santangelo. Poi si spiega: «E’ una questione di condominio ma è risolta». Ieri era giorno di chiusura quindi hanno dovuto aprire apposta. I locali del centro sono luminosi e il mobilio non avrà più di tre anni. Nel corridoio c’è una macchinetta per il caffè e un distributore d’acqua, come in un ufficio nordamericano.
«E’ per i pazienti. – dice Santangelo – Qui se ne hanno voglia gliene portiamo uno».
L’impressione generale di pulizia è molto forte, ma senza odore di disinfettante. A fatica si riesce a scorgere un capello giusto nel bagnetto di servizio, che viene usato come deposito per le scope.
«Tutti i pazienti hanno un armadietto personale per le loro cose, ma qui non devono spogliarsi. Gli alziamo solo la manica».
Santangelo vuole mostrarci i bagni. Dice che lì dentro ci mangerebbe.
Lo stanzone è molto grande e spazioso. Al centro c’è una scrivania con due sedie per il personale che controlla quello che succede, dietro una grossa finestra lo studio del medico.
La differenza con la struttura del San Carlo balza agli occhi.
Non ci sono letti ma poltrone elettriche col telecomando per aggiustare l’inclinazione dello schienale a piacimento. Si può stare sdraiati e riposare, oppure mettersi seduti e guardare la tv. Ce ne sono cinque sul soffitto e il paziente può decidere cosa guardare ascoltando l’audio in cuffia, senza disturbare gli altri. Ci sono anche dei tavoli con le rotelle.
«Quando ci sono gli infermieri mi costringono a portare i calzari, perché questa è una sala operatoria a tutti gli effetti. I lenzuoli sono tutti monouso, e se qualcuno ha freddo gli portiamo un plaid».
Santangelo prende in mano un cilindretto bianco sigillato in una busta di plastica.
«Questo è un filtro – spiega – che è la parte più importante dei nostri reni artificiali. Costano tre volte gli altri, e la differenza c’è. Noi non dobbiamo fare gare al ribasso, e scegliamo il meglio. Ma alla fine il giudizio che conta è quelli dei pazienti. Lo chieda a loro. Noi abbiamo anche un primario».
Si lascia andare a una battuta.
«Perché non ci danno in gestione il reparto dialisi del San Carlo? Posso garantire che sarebbe tutta un’altra cosa».

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