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di FABIO AMENDOLARA
POTENZA – Il ricco ingegnere con la passione per la massoneria, il proprietario della salagiochi con i videopoker e l’insospettabile venuto dalla Campania che vive a Bucaletto, la cittadella di prefabbricati costruita nella periferia di Potenza dopo il terremoto. Erano loro, secondo i magistrati che hanno chiesto il loro arresto, che davano i soldi al boss Renato Martorano, massimo esponente della ’ndrangheta in Basilicata. Sono quelli del «terzo livello»: i colletti bianchi. E’ questo che sospettano il sostituto procuratore antimafia Francesco Basentini e il pm Henry John Woodcock, che prima di lasciare Potenza per Napoli è riuscito a chiudere la terza parte dell’inchiesta sull’usura.
Quella più difficile. Quella con i racconti dell’ex compare del boss: Carmine Guarino, l’imprenditore che di Martorano era amico e vittima allo stesso tempo. Un usurato dichiarato che a sua volta, emerge nell’indagine sulle infiltrazioni della camorra in Basilicata, si trasformava anche in usuraio. Un uomo con due volti. Che, però, di quel giro che interessa ai magistrati conosce molto.
Ieri pomeriggio i carabinieri del Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri hanno notificato le ordinanze di custodia cautelare firmate dal giudice per le indagini preliminari Rocco Pavese.
L’accusa: «Usura». L’aggravante: «Aver agito con metodo mafioso». La storia che gli investigatori hanno ricostruito in tre puntate parte dal 2000. Da quando l’ingegnere lavorava ancora all’Ente irrigazione e si sentiva quasi tutti i giorni con il boss. E che con lui condivideva almeno tre progetti: «la costituzione di un consorzio di trasporti a Melfi, la realizzazione di opere pubbliche e il condizionamento di appalti». Mancava l’usura. E’ saltata fuori con l’arresto del boss, un anno fa. La seconda puntata: Renato Martorano aveva ridotto Guarino sul lastrico, tanto da portargli via anche una villa e un’auto di lusso. E ora la terza puntata, con il colpo di scena: il boss era solo un intermediario.
I soldi li mettevano altri. E gli altri, secondo i carabinieri del Ros, sono, oltre a camorristi e calabresi non identificati, l’ingegnere, il gestore della sala giochi e quello di Bucaletto.
L’ingegnere è Nicola Giordano, ha 65 anni ed è solito cacciarsi nei guai. La prima volta che si è trovato i carabinieri del Ros a casa erano i tempi della maxinchiesta “Iena due”, quella sugli intrecci tra mafia e politica. Dissero che era un chiacchierone, uno che millantava amicizie, ma che con la mafia non aveva nulla a che fare. Se la cavò uscendo dall’inchiesta nella fase delle indagini preliminari. La seconda volta aveva deciso di investire soldi in Somalia, ma è finito nelle mani di un truffatore che si spacciava per commissario dell’Onu. E ora c’è chi sostiene che prestasse i soldi tramite Martorano.
In una vecchia telefonata si accorda con il boss che insiste per presentargli una persona.
Il boss gli si rivolge dandogli del «voi».
Martorano: «Ingegnere buona sera». Giordano: «Ueh, Renato, come stai?». Martorano: «Tutto bene. Ingegnere, voi domani siete a Potenza?». Giordano: «No, domani non ci sono, sono a Roma». Martorano: «E quando vi posso far mettere in contatto con la persona?». Giordano: «Venerdì mattina… che io domani sera torno e quindi…». Martorano: «Allora, ingegne’, io gli lascio il numero vostro… perché io venerdì non ci sono». Giordano: «E vabbe’… tu vai giu?». Martorano: «No, no… ve lo accompagna direttamente un’altra persona». Giordano: «Va bene, non è un problema… io alle nove sono in ufficio». Martorano: «Allora vi faccio chiamare, così vi mettete d’accordo».
Il gestore della sala giochi è Gerardo Vernotico. Qualche tempo fa, quando era ancora un semplice testimone, è stato convocato in procura.
La sua posizione è cambiata dopo le dichiarazioni che Guarino ha fatto in aula, durante il processo al boss Renato Martorano.
E quello di Bucaletto è Matteo Di Palma. Uno che, secondo Guarino, faceva paura anche a Martorano. Un insospettabile che da Eboli, in provincia di Salerno, si è trasferito a Potenza e ha preso casa a Bucaletto.
In 30 pagine il gip riassume le scoperte della procura antimafia.
Qualche verbale, poche intercettazioni e i riscontri. Quanto basta per l’arresto.
f.amendolara@luedi.it

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