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di ULDERICO NISTICO’
Se c’è un luogo comune più sbagliato degli altri, è che in Calabria sia mancata o manchi la cultura; anzi, ce n’è sempre stata troppa, e troppa intelligenza: il che, per me, fedele seguace del Vico, non fa per niente bene. Prendete Renzo e Lucia, due ragazzotti semplici, o quei macachi zappatori ad oltranza dell’Albero degli zoccoli, e capirete perché il Nord è il Nord e noi no. Insomma, se Cristoforo Colombo fosse stato un filosofo calabrese invece di un marinaraccio genovese, a furia di pensarci sopra non sarebbe partito mai, e l’America la scopriva qualcun altro ignorante e fattivo. Secoli di erudizione smidollata e di accidiose riflessioni hanno privato e privano tuttora la Calabria di un elemento indispensabile alla vita di un popolo, e anche alla sua economia e politica: una cultura pratica, pragmatica, concreta, coraggiosa e capace di scendere ogni tanto dall’empireo cielo delle idee generiche, e proporre una cosa qualsiasi. Già, se piove, il dotto calabro mica compra un ombrello: macché, elabora subito un progetto atto a modificare, entro qualche milione di anni, i clima dell’Europa Occidentale. E trova subito chi replica e approfondisce e chiosa e celebra le virtù del climatologo: tutto, tranne che usare un volgarissimo ombrello. Anche perché i calabri dotti vivono sì isolatissimi da ogni contesto sociale, però ognuno si è ritagliato un giardino di Epicuro, hortus conclusus, in cui si ammettono il mostro sacro, il vice mostro sacro in attesa che muoia il mostro per sostituirlo, e i discepoli del mostro e del vice, ciascuno con la sua posizione gerarchica secondo che risplendano o meno della luce del mostro, o, in subordine, del vice. Fra di loro si esaltano, si lodano, si premiano, si rispondono sui giornali: fuori dal campicello, e fuori dai confini regionali, non li sente mai nominare nessuno: credete a uno che fuori ci va. E i politici? Semplicemente ne ignorano l’esistenza, tranne quando non serva una candidatura di facciata. Mi correggo: nel 1994 li fecero anche senatori e deputati, ma le loro menti astratte e libresche rivelarono sugli scanni parlamentari la più desolata incapacità di far politica. Da allora, l’intellettuale dallo Stretto al Pollino è ridotto a mera funzione decorativa. Pensate che si ribelli? In privato, forse, parla malissimo della Giunta e dei partiti, a cominciare dai loro stessi partiti; ma in pubblico, criticare non è educato; e apre bocca solo sui massimi sistemi e la palingenesi dell’universo grazie all’applicazione, uno di questi millenni, delle teorie di Questo o Quello, di cui è provvisoriamente seguace. C’è poi la categoria dotti di rincalzo, gli orecchiati di qualsiasi cosa. Ed ecco gli sbarchi di Ulisse e Basilio e Murat e Pinocchio in Calabria, e san Gennaro e Matusalemme calabresi… Infine, la categoria antimafia segue cena. E nessun mostro sacro e vice e discepolo e orecchiante dice mai una virgola sopra argomentucci plebei quali: lo spopolamento della Calabria, la fine di ogni produttività, lo sfascio della sanità, l’imperizia della burocrazia, l’instabilità delle montagne e quella della classe politica, il turismo, il federalismo fiscale eccetera… Il federalismo studiato sul serio, non il commovente appello ai fratelli Bandiera, che, tradotto, vuol dire che, in nome della patria, dovrebbero mantenerci e tenere in piedi 42 ospedali! E invece, proprio di questo la Calabria ha bisogno, di tutti quelli che abbiano una qualche idea non universale, ma pratica, per i tempi brevi, per la soluzione dei guai. Ci servono esperti di qualsiasi cosa, dal clima all’economia alla geologia alle strade all’agricoltura, eccetera; i quali sappiano studiare la realtà e proporre interventi possibili, pratici, realizzabili, per tentare di migliorare le cose. Vedete, dove le cose funzionano, c’è sempre un pensiero, dietro ogni azione, compresa quella dei politici: da noi, pare che le azioni siano del tutto prive di questo retroterra del pensiero; e procedano a tentoni, ad annunzi mirabolanti mai seguiti da effetti, a promesse che acquietano l’ansia e non risolvono alcun problema. Ci serve un pensiero, un dibattito su proposte serie e scientificamente attendibili, lo spendere in pratica le competenze teoriche. Ma, come si dice in Calabria, ad ognuno l’arte sua: i dotti facciano i dotti, i politici facciano i politici, e non si intreccino tra di loro; chi ha proposte credibili e non cervellotiche, le affacci; e chi le deve valutare e mettere in pratica, si adoperi. Dunque, staniamo i dotti dalla loro comoda e pavida posizione di teorici; e costringiamo la politica ad adoperarli non per le passerelle, ma per quello che effettivamente sanno fare.

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