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di PIERANGELO DACREMA

Non è giovane soltanto la scienza economica. Lo è, relativamente, anche il suo campo d’indagine, l’economia stessa, che ha espresso finora solo una piccola parte del suo potenziale. Ne è prova il ruolo diverso – per certi aspetti assolutamente nuovo – assunto dalle donne nel giro degli ultimi decenni. Alla donna non vengono più negate occupazioni e responsabilità ritenute da tempo immemorabile appannaggio esclusivo della figura maschile. Certo, l’esercizio di tante professioni e il conseguimento di certi risultati appaiono tuttora più faticosi per le donne. Ma ciò non toglie che la loro crescente affermazione in campi economici diversi da quello domestico – l’ambito in cui esse sono state relegate da una lunga tradizione – sia una circostanza sulla quale valga la pena di riflettere.
E’ chiaro come la partecipazione delle donne all’economia dell’umanità, in termini di dedizione e di laboriosità, abbia da sempre avuto un peso non meno determinante di quello degli uomini. L’impegno profuso nella cura del nucleo familiare e nell’allevamento dei figli ha fatto della donna il protagonista quasi invisibile del successo di qualsiasi civiltà. I compiti atavici della procreazione e della protezione della prole hanno instillato nelle donne una maggiore dose di realismo e le hanno distolte per lungo tempo dagli studi e dalle attività intellettuali. Custodi della vita e della sua perpetuazione – protese a salvaguardare questo mondo e la sua continuità – le donne non sono state messe in condizione di fantasticare su altri mondi. Cosa alla quale si sono dedicati gli uomini con esiti non sempre apprezzabili, soprattutto quando non si sono limitati a fare filosofia e hanno ritenuto che la strada della guerra e delle armi – in effetti poco congeniale alle donne – fosse quella più adatta per realizzare i propri sogni.
Per lungo tempo la legge del più forte e il primato riconosciuto alla forza fisica hanno impedito alle donne di svolgere la maggior parte delle attività formalmente retribuite. Ciononostante, di fatto, esse non sono mai state disoccupate. Gravate di compiti ufficiosi, ma prive di un’occupazione ufficiale, le donne hanno sperimentato solo di recente la disoccupazione sul piano rigorosamente formale. (E la sensazione è che, tuttora, la disoccupazione sostanziale costituisca uno strano privilegio della categoria maschile).
La verità è che se l’uomo è stato il “ pastore dell’essere” – una definizione cara a Heidegger – la donna è stata il cane che ha vigilato sul gregge, che l’ha tenuto unito e protetto dai lupi. E che come molti cani fedeli si è guadagnata qualche carezza, ma anche qualche calcio. Non si chiede a una bestia, per quanto cara, docile e servizievole di inventare ciò che solo un pensatore sa ideare, sia quando si parli di un piatto che solo un grande cuoco potrebbe cucinare, sia quando si tratti di fare politica ed economia come solo un uomo sa fare. C’è chi decide e c’è chi esegue, c’è chi conduce e c’è chi segue, c’è chi illumina e scalda tutta la terra e chi si limita a dare e a prendere un po’ di calore. A una parità d’intensità di vita e d’azione ha corrisposto un’incolmabile differenza nell’effettiva possibilità di stabilire come il mondo potesse essere e quale direzione dovesse prendere. Per millenni, la sola voce proveniente dal pulpito del fatto economico è stata quella degli uomini, non quella degli esseri umani.
Poi, abbastanza improvvisamente, le cose sono cambiate. Merito delle donne, degli sforzi della parte lesa e silenziosa, danneggiata e oscurata? Sì, probabilmente, anche. Più convincente è l’ipotesi che l’umanità intera – sempre più attenta ai suoi bisogni che a quelli dei singoli – abbia dato sfogo alle proprie urgenze. L’economia dell’umanità non si accontenta e cerca il massimo: vuole tutto, non una parte, e chiama tutti a raccolta, non solo alcuni. L’intelligenza umana non si esaurisce in quella maschile, ed ecco che l’economia esige la pienezza dell’intervento femminile. All’insegna dell’uguaglianza? No. Alla ricerca dell’eccellenza. L’evoluzione ha fame di diversità e sa sfruttarne fino in fondo ogni aspetto. La progressiva libertà di atteggiamenti e comportamenti sessuali a cui stiamo assistendo attesta anche l’esistenza di una serie di sfumature intermedie tra l’”estremo” di tipo maschile e quello di tipo femminile. E’ una conquista della nostra civiltà, di un modo di pensare che individua nel corpo umano – nel proprio corpo – l’oggetto di una proprietà esclusiva e incondizionata. Ed è al tempo stesso un richiamo con potenti effetti fisici, una prova di come esista un polo della femminilità ricco di riferimenti ideali e di riflessi nei comportamenti reali. Uno spazio logico diverso da quello maschile e non meno importante di esso che chiede di essere meglio compreso.
Forse si sono divertite, le donne, nel corso della loro battaglia di liberazione. Che è stata anche una vittoria della società su se stessa, l’espressione di un’inedita e più avanzata versione dei rapporti sociali. In alcuni casi, però, l’euforia e l’entusiasmo hanno lasciato il posto alla delusione e ad angosce sconosciute. Non può essere vera emancipazione, infatti, quella che si traduce in un semplice aumento della somma dei doveri e delle preoccupazioni. Ma non ci si deve stupire né scoraggiare. L’uguaglianza tra diversi si afferma per piccoli passi, e non a scapito delle diversità.
Corpi sempre più liberi aumentano le responsabilità individuali. Modi di essere e di pensare meno vincolati implicano una maggiore responsabilità collettiva. Nessuno sa con certezza ciò che accadrà alla specie umana, sottoposta a regole evolutive per certi aspetti imperscrutabili. Pare tuttavia che la diversità sia un valore in sé, un patrimonio che dovrebbe essere caro tanto agli uomini quanto alle donne. Agli uni e alle altre spetta di salvaguardarlo. Per senso della storia? Non credo. Semmai per senso del benessere, per un motivo che con più di qualche giustificazione si può definire economico. Non è una novità che l’economia abbia a che vedere con un certo benessere del corpo e della mente. Si tratta quindi, tutto sommato, di essere pratici. Si tratta di utilizzare pienamente e a proprio vantaggio una teoria e una prassi della diversità. Il tema su cui lavorare è il seguente: un’uguale appartenenza all’umanità ha buone probabilità di mostrarsi in forme proficuamente differenti.
Tra mille difficoltà, e contro un numero incalcolabile di episodi di barbarie, la civiltà avanza. Ne e’ prova il fatto che la forza fisica ha smesso di essere preponderante e vincente nel giudizio della gente. Forme di energia e di violenza giudicate quasi indispensabili in passato – essenziali in guerra ma drammaticamente utili anche nelle occasioni domestiche, spesso destinate a diventare la base di equilibri avvilenti e ingiusti -, vengono oggi plasmate e indirizzate altrove da linee di pensiero più edificanti. Il tempo non passa per nulla. E lo testimonia anche l’arricchimento del significato economico della storia di cui le donne si sono rese artefici nella nostra epoca.

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