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di MARIATERESA LABANCA Ha avviato il suo mandato alla guida della Confindustria lucana con una precisa dichiarazione d’indipendenza politica e in aperto contrasto con il governo regionale. Per la sua prima intervista da presidente dell’associazione, Pasquale Carrano mantiene quella posizione. E, in rappresentanza di tutti gli imprenditori lucani, torna a “bacchettare” una regione «che troppo spesso non sta dalla nostra parte». Su una cosa la nuova guida degli industriali lucani non ha dubbi: «Le aziende stanno vivendo un momento difficilissimo».
Eppure il presidente De Filippo parla di analisi «spesso infarcite da luoghi comuni e a volte condotte con finalità poco nobili». Qual è la verità?
Preciso che ritengo indispensabile un’analisi vera e lucida, che abbandoni le logiche di parte. Dagli incontri che ho cominciato ad avere con i nostri associati, si va componendo la fotografia di un tessuto economico in forte difficoltà. Ci sono dei fattori congiunturali, ma anche specifici del nostro territorio.
Quanto pesano questi limiti sull’imprenditoria locale?
La Basilicata è meno attrattiva di un tempo.
Il territorio vive insieme con l’impresa. L’azienda che opera in un tessuto economico virtuoso ha un indiscusso vantaggio competitivo. Ecco perché serve una pubblica amministrazione più efficacie ed efficiente; servono infrastrutture adeguate e soprattutto una politica che indirizzi le risorse pubbliche disponibili, in coerenza con quelli che sono gli obiettivi dell’impresa.
Ed ecco perché sollecito un’analisi congiunta, di tutte le parti, per capire quali siano le cose che non vanno.
Cos’è che manca oggi?
Diciamo che questa regione non riconosce il giusto valore sociale agli imprenditori. E come se non si capisse il vero contributo che l’impresa può portare allo sviluppo e alla crescita del territorio. La Basilicata, insomma, non sta dalla nostra parte.
Lei sostiene che la Lucania è oggi meno attrattiva. Quali sono le responsabilità di chi ci governa?
Preferisco limitarmi a osservare i fatti: ci sono bandi di reindustrializzazione che hanno dato risultati, imprese che sempre più di frequente scelgono di delocalizzare le proprie attività. E sia ben chiaro: non vanno a investire in altri Paesi, dove il lavoro costa meno. Si spostano in altre regioni dell’Italia. E questo la dice lunga sulla competitività del nostro territorio.
Ha fatto riferimento agli scarsi risultati dei bandi per la reindustrializzazione. Ultimo caso quello dalle Mahle. Cosa sta accadendo? Non voglio soffermarmi sul caso specifico. Ma invitare a una riflessione: quest’ultimo epilogo è il segnale inequivocabile di una distanza, se non di un conflitto, tra impresa e territorio. Al di là delle reazioni scomposte che possono esserci state da parte di qualcuno, bisognerebbe riflettere su cosa si è rotto tra imprese e territorio. Evidentemente la direzione intrapresa nelle scelte per la emanazione dei bandi non è stata accolta con favore degli imprenditori.
E’ lo strumento che è sbagliato o è la sua gestione che non funziona?Diciamo che i risultati non hanno soddisfatto le aspettative. Noi siamo pronti a dare il nostro contributo, ma non con un coinvolgimento estemporaneo o su casi specifici. Le ragioni del fare impresa devono essere assunte a riferimento delle politiche industriali e quindi anche dei bandi, che sono strumenti di attuazione di queste politiche. Se poi ci sono imprenditori che con il loro lavoro quotidiano riescono a dare prova di attività d’eccellenza, bisognerebbe metterli nelle condizioni di crescere ulteriormente.
E’ muro contro muro, allora. Proseguirà sulla linea dello scontro?
Tutt’altro. Credo che un momento difficile come questo necessiti di un’analisi condivisa, di uno sforzo verso la collaborazione, da parte di tutti gli attori del territorio, cercando di rimettere l’impresa al centro delle decisioni politiche. Servono scelte coraggiose e regole certe.
Quali sono le proposte di Confindustria per “raddrizzare” la rotta?
Lavorare per costruire un territorio virtuoso: investire sulle infrastrutture (reti materiali e immateriali), migliorare le possibilità delle imprese, orientando in maniera più lungimirante, con lo sguardo rivolto al mercato, e indirizzando le risorse pubbliche alla incentivazione del tessuto produttivo. Insomma, bisogna rimettere le aziende al centro. La mancata riorganizzazione dei consorzi industriali, è il simbolo evidente di una regione che invece non riesce a comprendere la portata dei processi di riforma. La capacità di reazione di un’impresa dipende anche dai tempi di risposta del territorio.
Se si dovesse continuare di questo passo, quali scenari prevede?
Non ho la sfera di cristallo. Ma gli indicatori che periodicamente vengono diffusi fanno presagire ancora impoverimento del territorio per effetto della migrazione intellettuale, aziende che delocalizzano, e natalità di imprese ancora molto bassa. Non si può più attendere, bisogna invertire la rotta.

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