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di MARIATERESA LABANCA
ROMA – Una busta sul parabrezza della macchina parcheggiata nel quartiere romano di Prima Porta, con due proiettili e un messaggio: “Morirai con il tuo libro per mano di Hezbollah”. Il proprietario dell’auto, e quindi il destinatario della minaccia, è ancora lui: il giornalista di Televideo, di origini potentine, Nello Rega. L’autore del libro “Diversi e divisi”, romanzo che si occupa della difficile convivenza tra cristiani e islamici, di avvertimenti di morte ne ha ricevuti molti. L’inferno è iniziato sei mesi fa, proprio dopo la pubblicazione del volume. Ma le intimidazioni non dovevano più ripetersi. Il Comitato per l’ordine pubblico della Prefettura di Potenza, infatti, ha disposto per lui misure di sicurezza. Intervento che, però, ieri mattina a Roma non ha evitato l’ennesimo vile atto intimidatorio. E questo perché lo speciale intervento è stato disposto solo sul territorio di Potenza, sua città natale, dove il giornalista conserva ancora la residenza, e non a Roma, dove lavora da tempo.
Ed è per questo che Nello Rega, dopo aver fatto le denunce di rito, ieri mattina ha rifiutato la sicurezza disposta dal prefetto Luigi Riccio. Una scelta forte, provocatoria, da parte di chi da sei mesi è costretto a convivere con la paura. «Di protesta», spiega lo stesso Rega. «Contro la sordità dello Stato – aggiunge – che mi obbliga a rinunciare a quel minimo di sicurezza che il comitato di Potenza ha comunque ritenuto necessario. Ma queste misure sono insufficienti. E quella delle istituzioni è sordità voluta, dettata dalla superficialità».
Per il giornalista lucano «è mancata una valutazione adeguata della gravità del rischio». Ma c’è di più. Non si tratta solo di misure inadeguate.
C’è pure che a Nello Rega è mancata quella solidarietà «che sarebbe dovuta, non al giornalista, ma, in primo, all’essere umano che qualcuno prova a intimidire e limitare nella sua libertà di espressione». Solidarietà che non è arrivata neanche dalla sua terra. «A Banzi mi è capitato addirittura di essere insultato, di essere paragonato a Fabrizio Corona. Mi hanno diffamato. Ho dato mandato ai miei legali di procedere con la querela. Ma la cosa più grave è che avverto l’ostilità della mia regione». Lo stesso vale per le istituzioni: «Fatta eccezione per una mozione della Provincia di Potenza e per il comitato “nessuno tocchi Nello Rega”, non è stato fatto niente. Neanche la Regione si è sforzata più di tanto. Evidentemente si pensa già alla elezioni. E la vita di un uomo vale meno di un voto».
Un fatto gravissimo «che avrebbe dovuto provocare l’indignazione di tutti». Rega ne è sicuro: «Quelle minacce arrivano da gruppi islamici».
A questo doveva seguire una reazione più sentita, più forte. «Mi sembra logico – continua Rega – che, se il comitato per la sicurezza pubblica di Potenza decreta misure di sicurezza, le stesse dovrebbero essere adottate anche altrove, visto che il problema esiste ovunque».
Ora la dura rinuncia in segno di protesta dovrebbe scuotere qualcosa, o qualcuno. Ma fino a ora, la scelta non è stata seguita da alcuna reazione. «La mia è la speranza di un cittadino che paga le tasse, come tutti. Vedo l’impegno dei carabinieri qui a Potenza, ma mi fa rabbia perché si tratta di misure limitate. E’ qualcosa di vergognoso, non degno di un paese civile».
Rega racconta di come la sua vita sia stata stravolta dalle minacce. «Ho modificato le mie abitudini. Esco di meno. Convivo con la paura, per me e per i miei familiari. Ma, seppure a fatica e con amarezza, riesco a limitarmi negli spostamenti, di sicuro non potrò mai rinunciare alla mia libertà di espressione. E’ una battaglia questa che non voglio perdere».
Sull’assenza delle istituzioni, il giornalista conclude: «Se dovesse succedermi qualcosa, ognuno risponderà con la propria coscienza. Quello che mi sta accadendo è scandaloso».
Mariateresa Labanca

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