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di ROCCO PEZZANO
C’è un paese che sta male. Si trova all’interno dell’area industriale di San Nicola di Melfi. E’ il paese – dicono i risultati del progetto Euridice – degli operai che hanno problemi di droga, di stress, di mobbing e da qualche tempo anche di gioco d’azzardo e di dipendenza da internet.
«Il paese che sta male è l’immagine giusta», conferma Giuseppe De Luca della cooperativa lombarda “Marcella” che gestisce da otto anni Euridice.
Il progetto è partito nel 2002 e nel 2005 c’è stata una prima tappa. Poi è cominciata la seconda parte che si sta concludendo. Ad aprile i risultati verranno pubblicati.
L’iniziativa è stata portata avanti lungo due strade. La prima è stata la distribuzione di questionari agli operai, al turno d’ingresso, e il ritiro degli stessi – rigorosamente anonimi – a fine turno. «Abbiamo ricevuto risposta dal 25 per cento degli interpellati. E’ un ottimo risultato: in questi casi risponde il 10 per cento se va bene».
I questionari hanno cercato di entrare nella vita lavorativa degli operai per capirne la qualità. E per sapere quante persone fanno uso di droghe sintetiche, quante subiscono angherie sul posto di lavoro, che tipo di stress angustia i dipendenti.
«Si comprende – dice De Luca – che il distretto è vulnerabile alle dipendenze». E non parla solo di droga: «C’è lo stress – spiega – Ad esempio, alla domanda “Devi fare a volte delle cose che a te sembrano inutili?”, da chi risponde “qualche volta” a chi risponde “molto spesso” c’è quasi l’80 per cento degli intervistati. E quando abbiamo chiesto “Sei stato esposto a minacce verbali (insulti, scherzi, critiche di fronte ai colleghi?”, l’esito è di oltre il 35 per cento fra “qualche volta”, “spesso” e “molto spesso”».
Sulle droghe sintetiche, chi dice di averne assunte almeno una volta negli ultimi sei mesi c’è un 8 per cento circa. Che De Luca rimarca. E aggiunge: «Sono emersi due nuovi fenomeni: il gioco d’azzardo (un gruppo consistente: il 9 per cento) e la dipendenza da internet. Oltre l’8 per cento passa davanti al computer dieci ore alla settimana. E’ davvero tanto».
La seconda strada di Euridice è la formazione di “opinion leader”, di figure che servano come punti di riferimento per gli operai nel capire come uscire dai tunnel di disagio psico-sociale in cui si finisce.
In questo cammino, sono stati fondamentali i sindacati. «Le quattro organizzazioni, Cgil Cisl Uil e Fismic, senza conflitti fra di loro, ci hanno seguito nel nostro percorso – specifica De Luca – e al loro interno sono stati formati alcuni opinion leader che hanno seguito sessanta ore di formazione su stress, mobbing, interazione con i servizi pubblici, radici del disagio. Oggi c’è un gruppo di dieci-dodici delegati pronti a partire».
A partire per cosa? «Per la naturale evoluzione di Euridice – risponde De Luca – che viene fuori dai quattro livelli di attività del progetto: ricerca, formazione, campagna informativa e previsione di modelli di aiuto con i Sert. La campagna informativa fra gli operai ha avuto un buon livello di accettazione e un “indotto di informazione”: molti sono tornati a casa e hanno raccontato quanto appreso a figli e parenti».
Per essere più concreti? «Adesso – sostiene De Luca – ci vogliono azioni robuste, concentrate». Ossia? «Un protocollo d’intesa per un’azione pluriennale di aiuto nel distretto».
De Luca è uno psicoterapeuta con decenni di lavoro alle spalle. Ha gestito i Servizi socio-psico-pedagogici di Sesto San Giovanni e il Centro di psicologia clinica della Provincia di Milano. Il suo impegno nel settore industriale nasce quando, alla ex Zanussi, i dirigenti – stufi di dover chiamare sempre i carabinieri per la droga che circolava in fabbrica – chiamano la coop Marcella. Poi lavora all’Ibm, alla Barilla. L’esperienza di Melfi la considera importante (e difatti del progetto Euridice si è parlato in molti convegni in Italia e fuori).
Il problema della prevenzione da disagi nel Belpaese è che, dopo la scuola, c’è il vuoto.
Come si spiega la diffusione del malessere fra gli operai? «In Fiat – dice lo specialista – non sono andati a lavorare contadini, ma figli di famiglie piccolo-borghesi che avevano altre aspirazioni e stili di vita e improvvisamente si sono trovati in quella realtà, con quei carichi di lavoro, con una qualità dei rapporti sociali che crea disagio».
Marcella è la prima realtà che ha voluto occuparsi del settore.
«Il finanziamento pubblico è poca cosa – assicura De Luca – ossia 50.000 euro all’anno. Davvero in economia. Ma quello che vorrei sottolineare è la collaborazione delle amministrazioni regionali dal 2002 a oggi. In Italia non abbiamo trovato un aiuto così convinto».
Anche la Fiat, secondo De Luca, ha collaborato. «All’inizio – narra – ci sono stati problemi, poi ci siano trovati su un terreno comune. Alla Fiat, l’attuale capo del personale è abbastanza collaborativo». Cioè? «Non ci ostacola. Ed è già abbastanza».
L’immediato futuro è fatto di interventi negli stabilimenti, fabbrica per fabbrica. Azioni particolari per le donne. Ventiquattro aziende interessate, diecimila operai in totale. Una grande comunità. All’interno della quale vive il “paese che sta male”. E che non ha bisogno dell’ennesimo convegno. «E’ il momento di agire», conclude De Luca.
r.pezzano@luedi.it

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