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«Questo è un processo anomalo, che ha seminato molte vittime in base a distorte letture di dati obiettivi. C’è stato un pubblico ministero che non ha esercitato correttamente la sua funzione, ma che ha voluto interpretare unilateralmente i dati. C’è stata, complessivamente, da parte del primo pm ma anche dopo, una negligenza o dolosa non presa d’atto di una versione diversa da quella posta nell’accusa, una resistenza inspiegabile a verificare la fondatezza di elementi estremamente importanti che la difesa sottoponeva all’attenzione degli inquirenti».
Su queste affermazioni, l’avvocato Francesco Gambardella, oggi nel corso dei 42 giudizi abbreviati seguiti all’inchiesta «Why not», ha incentrato la propria arringa a difesa di Antonio Saladino, imprenditore di Lamezia Terme, ex leader della Compagnia delle opere in Calabria, e principale indagato nell’indagine relativa a presunti illeciti nella gestione dei fondi pubblici.
Il penalista ha censurato pesantemente l’operato dell’ex sostituto procuratore Luigi de Magistris, originario titolare dell’inchiesta, contestando inoltre anche molti atti del pool di magistrati che ereditarono il fascicolo dopo l’avocazione al primo pm, elencando una serie di contraddizioni, di anomalie, e di questioni giuridiche che deporrebbero, a suo dire, per la totale inconsistenza dell’indagine, «per la quale – ha spiegato Gambardella, sollecitando una trasmissione degli atti alla Corte dei conti – è stata spesa una cifra che si aggira sui 4 milioni di euro, a mio parere per attività disposte in maniera del tutto indiscriminata e senza il necessario fumus di reato».
L’avvocato ha in particolar modo evidenziato una serie di elementi che deporrebbero per la non credibilità di Caterina Merante e Pino Tursi Prato, principali testi dell’accusa, «che invece non sono stati minimamente presi in considerazione. I due – ha rimarcato più volte Gambardella – dovevano essere sottoposti ad un vaglio di credibilità, che peraltro è stata smentita da pronunce giurisdizionali».
Tra i «fatti inspiegabili del procedimento», il legale ha sottolineato soprattutto l’episodio di un interrogatorio avvenuto a Paola nel 2008, nel corso del quale oltre al teste sarebbero stati presenti anche la Merante ed il suo difensore, contrariamente a quanto consentito dalla legge, stigmatizzando il comportamento dei due pm presenti che, a suo dire, avrebbe «profili che vanno anche nel penale».
«Questo processo – ha aggiunto Gambardella – se ben gestito avrebbe dovuto portare a conclusione del tutto diverse. Ed è per questo che io mi ero opposto in ogni modo all’avocazione all’originario pm, perchè quell’atto ha provocato una fibrillazione e un’isteria che ha portato a tutto questo». «Tutto nasce dall’interesse per le agende ed i contatti che Antonio Caladino aveva, ma non si tiene conto che lui gestiva il lavoro interinale, e quindi è assolutamente normale che avesse rapporti con tutti i rappresentanti istituzionali. Si parla di una presunta associazione a delinquere senza dire quando è nata e tra chi, senza che sia cristallizzato il momento dell’incontro di volontà delittuose, senza dire se chi oggi accusa Saladino ci fosse dentro o no, eppure la Merante ha lavorato con lui fino al 2006. Saladino gestiva il lavoro interinale ed i soldi pubblici che sono arrivati alle società, come è ampiamente provato, sono andati solo ai lavoratori, e lui non ha avuto il minimo lucro. Se poi i lavoratori andavano al mare o facevano altro rispetto a quello che dovevano qusto non può integrare alcuno dei reati che vengono contestati al mio cliente. Lui ha fatto solo il suo dovere. C’è stata in questo processo solo una raccolta di un cumulo dati inutili, che ha dato solo la possibilità di conoscere tutti i legittimi rapporti avuti da Saladino con il timbro dell’assoluta liceità».

LA MERANTE AI GIORNALISTI
«Noto che sono considerato un teste attendibile quando servo alla difesa e non lo sono quando non convengo». Lo ha detto Caterina Merante, parlando con i giornalisti al termine dell’udienza del processo Why not, riferendosi all’arringa del difensore di Antonio Saladino, l’avv. Francesco Gambardella. «Oggi – ha aggiunto – sono state dette tante bugie facilmente dimostrabili». «L’avvocato – ha poi sostenuto la Merante – ha detto che l’accusa non ha indicato il momento della costituzione dell’associazione per delinquere, ma non è così e nelle carte c’è. È nel 2005. A me non è stata data la possibilità di difendermi in questo processo. Non ho mai fatto patti con le Procure. Ho chiesto invece che indagassero su di me. La Procura di Paola mi ha intercettato per sette mesi. Alla fine sono stata la più intercettata dell’inchiesta. Nonostante questo non mi è stato contestato nulla: o perchè non c’era nulla o perchè c’è un disegno così diabolico che non so».
«Ho conosciuto il pm di Crotone Pierpaolo Bruni, quando era applicato all’inchiesta – ha detto ancora Caterina Merante – e non penso avrebbe fatto sconti. Lui ha richiesto delle misure cautelari per alcuni imputati del processo anche per episodi di ritorsione contro di me».

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