X
<
>

Condividi:
6 minuti per la lettura

di LUIGI M. LOMBARDI SATRIANI
“La piazza è del Popolo”, così ha scritto su facebook una sua fervente frequentatrice; “un fantasma si aggira per l’Europa: l’astensionismo” potremmo dire, utilizzando un incipit famoso riferendoci ai risultati elettorali francesi. Da un lato, abbiamo la manifestazione del centrosinistra e dei diversi filoni dell’opposizione, a parte l’equilibrista Casini, con la decisa affermazione di tanti militanti (compreso il “popolo viola”) della volontà di essere comunque protagonisti di vita politica e di conseguente scelte consapevoli che ha riempito la famosa piazza romana e le sue immediate adiacenze con oltre 200 mila persone. Dall’altro, il crollo elettorale di Sarkozy e l’altissima percentuale degli astensionisti (circa 55%) testimonianza di una tendenza che, fortemente presente negli Stati Uniti, sta raggiungendo trionfalmente l’Europa. E’ questo, schematicamente, lo scenario nel quale saranno celebrate le consultazioni elettorali di domenica e lunedì prossimi. Possiamo ritagliarci rispetto a esse il ruolo di disincantati spettatori ? Non mi sembra proprio possibile un tale atteggiamento, che sarebbe, a mio avviso, una clamorosa fuga dalle nostre specifiche responsabilità. A costo di cadere nell’assoluta banalità, è il caso di ribadire che la nostra regione è afflitta da numerosi mali, antichi e recenti. Basti pensare alle dimensioni e a agli effetti devastanti della criminalità organizzata; dell’assenza di prospettive realistiche di lavoro, che porta ineluttabilmente alla disoccupazione e all’emigrazione; dell’insicurezza individuale e collettiva, esistenziale e sociale; della precarietà del suolo, oggetto di smottamenti e di ricorrenti catastrofi ambientali; di un individualismo esasperato, che impedisce alla radice il sorgere del sentimento di un’appartenenza collettiva, di un senso civico. Su tali mali si è accumulata, come sappiamo, un’amplissima letteratura, che non è qui il caso di richiamare. Essi sono il risultato di un groviglio di concause, alle quali noi calabresi abbiamo fornito un notevole contributo. Sarebbe assolutamente errato attribuirli, quindi, a Berlusconi e al suo Governo; altra cosa è sottolineare che a tali mali non ha arrecato alcun rimedio la politica di questo Governo, che, semmai, si caratterizza, per un antimeridionalismo sostanziale, prigioniero com’è del ricatto leghista. Tale sottolineatura di sostanziale antimeridionalismo è ripresa, tra l’altro, dalle recentissime dichiarazioni di Lombardo, alleato in Sicilia, fino a pochissimo tempo fa, di Cuffaro e di Forza Italia, per cui non deve apparire dettata da un mio pregiudizio ideologico. Stando alle dichiarazioni ufficiali del presidente della Regione Calabria, i contributi del Governo nazionale alla nostra Regione, pur formalmente stabiliti e ufficialmente annunciati, non sono mai stati concretamente erogati, per cui questa tanto enfatizzata “politica del fare” si è risolta, quasi sempre, nella “politica dell’annuncio”. Semmai il “fare” si è tradotto nel dirottare somme già stanziate dal Governo per lavori in Calabria (si pensi per tutti a quelli per lo snodo di Villa San Giovanni) per coprire la voragine di bilancio prodotta dalla demagogica abolizione dell’Ici, annunciata, come si ricorderà, con un “colpo di teatro” di Berlusconi al termine della sua campagna elettorale per le precedenti elezioni politiche e da lui attuata appena giunto al governo dopo la nota caduta parlamentare di Prodi. Quello che però qui si intende sviluppare è un altro ordine di discorso. Come i lettori di questa rubrica settimanale sanno bene, quasi sempre ci si è soffermati su episodi di costume, comportamenti, su una variegata fenomenologia di azioni nel tentativo di mettere a fuoco i valori, nell’accezione antropologica che ispirano la maggior parte dei componenti della nostra società. A a tale insieme di valori ha dato un contributo assolutamente determinante Silvio Berlusconi. Una delle sue maggiori responsabilità storiche che peserà decisivamente sul giudizio complessivo che sarà dato della sua opera e del ruolo da lui svolto nel Nostro paese, è quella di avere da anni e anni lavorato sistematicamente a svuotare di concreto significato, i valori, nell’accezione antropologica di mete culturali, del vincolo solidaristico che è alla base di ogni civile convivenza; dell’adempimento del proprio dovere; dell’assoluto rispetto, senza se e senza ma; della legalità, garanzia di tutti e di ciascuno; dell’accurata delimitazione delle funzioni delle diverse figure istituzionali e dei loro compiti; della separazione dei poteri; del sistema di controlli e di pesi e contrappesi che regolano costitutivamente la nostra democrazia. Al posto di tali valori l’attuale premier ha operato efficacemente perchè fossero posti quelli del successo individuale; della ricchezza giustificatrice qualsiasi eccesso o azione, a prescindere dalla sua legalità o meno; dell’affidamento carismatico a un capo, da considerare per il consenso popolare avuto vero e proprio “Unto” del signore, non suscettibile di alcuna critica e personificazione in terra del volere divino, oltre che unico e vero erede di Don Sturzo, Alcide De Gasperi, e altri padri fondatori della nostra democrazia rappresentativa. Che tutto ciò mini sostanzialmente una siffatta democrazia, sostituendola con un culto ipertrofico di un IO deificato, costituisce i tratti di una autocrazia costantemente perseguita da Berlusconi, della sua personale concezione di una democrazia autoritaria che dovrebbe essere il toccasana della nostra democrazia “malata”. Questi, rapidamente indicati, sono i valori del protocollo che Berlusconi ha introdotto o potenziato a dismisura nella nostra società, producendo un berlusconismo di cui egli è il principale beneficiario, ma che è destinato a durare a lungo nella nostra società, anche dopo la sua fine politica. E’ questa la più profonda corruzione da lui apportata, ed è quella che peserà sulla sua persona, al di là delle pur rilevanti responsabilità di corruttore specifico di cui si stanno occupando i tribunali e contro le quali sta facendo di tutto, agendo con ogni mezzo per difendersi, come più volte è stato detto dai processi e non nei processi. In ogni caso quale che sia la verità giudiziaria, nella quale non voglio qui entrare e che probabilmente subirà la condanna della prescrizione così arrogantemente da lui voluta, vi è una verità politica che lo consegna al giudizio di tutti noi quale sistematico, tenace, profondo, corruttore morale della nostra società. La nostra regione, come le altre del Mezzogiorno, ha particolare bisogno di una profonda rigenerazione morale, che possa raccogliere le proprie migliori energie per contrastare i mali che la affliggono e che ho sopra sintetizzati. Ma è possibile una tale rigenerazione, se i valori del berlusconismo hanno pervaso così profondamente la vita anche della nostra regione, del nostro Mezzogiorno ? Mi sembra, quindi, che ben poco possiamo fare in un quadro così radicalmente compromesso. Eppure la democrazia, bene insostituibile di cui possiamo ancora godere, ci dà uno strumento per affermare la nostra tensione ideale, la nostra progettualità, il nostro quadro di esigenze, il nostro protocollo di speranze: il voto. In questa prospettiva, mi sembra, che domenica e lunedì prossimi possiamo esprimere il nostro voto: contro i valori del berlusconismo, contro il paradigma Berlusconi e i “suoi” uomini. Voto “contro” che è e vuole essere essenzialmente voto “per”: per una diversa società, per una diversa Calabria, per un diverso Mezzogiorno. Dove sia un po’ meno disperato il vivere, dove sia un po’ più possibile la speranza.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE