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CANNES – Elio Germano è il personaggio «che deraglia sul binario sbagliato» come Daniele Luchetti definisce il protagonista de La nostra vita, l’unico film italiano in concorso a Cannes. Deraglia perchè dopo l’improvvisa morte della moglie e con tre figli piccoli si vuole dare tutto il benessere materiale possibile pensando così di colmarne l’assenza e per farlo tenta il grande salto da operaio a imprenditore edile, agendo senza troppi scrupoli. «Sono entrato in quell’ambiente, senza farmi pregiudizi possibili, volevo riscontrare quelle cose e lavorare su un personaggio senza appiattirlo in una definizione sola», racconta Germano che torna a Cannes per la seconda volta e sempre diretto da Luchetti dopo l’ottimo Mio fratello è figlio unico. Quel mondo dei subappalti, del lavorare in fretta, con materiali di scarto, pagando il meno possibile e soprattutto a nero, sfruttando operai immigrati e non solo, «esiste eccome e chi non lo conosce non è in buona fede. E quello che accade nell’edilizia accade in tanti altri campi», dice Elio Germano, 30 anni a settembre, uno dei migliori della sua generazione, da cinema pasoliniano, pochi fronzoli, zero mondanità e tanto talento. «Siamo andati a tagliarci i capelli dal Mohicano, un parrucchiere che dalle parti di Bufalotta alla periferia di Roma dove abbiamo girato va per la maggiore, passavamo tempo libero nei centri commerciali, cercavamo di respirare quell’aria, ma con rispetto per un mondo che esiste e che è frutto del proprio tempo. E noi siamo come loro». Per la sua rabbiosa interpretazione di Claudio, con momenti di grande emozione – il funerale della moglie mentre urla disperato la canzone di Vasco Rossi Anima fragile – tenerezza, durezza, un’altalena di espressioni, c’è già chi lo mette in competizione con il favorito Javier Bardem protagonista di Biutiful di Alejandro Gonzalez Inarritu. «Davvero? Allora vuol dire che ho già vinto se sono in competizione con lui», dice Germano. Accanto a Daniele Luchetti, nell’incontro riservato alla stampa italiana, i suoi attori Raoul Bova, Luca Zingaretti, Stefania Montorsi, Giorgio Colangeli, Isabella Ragonese, i romeni Marius Ignat e Alina Madalina Berzunteanu. «Quando ho cominciato a pensare al cast, sotto la doccia – ha raccontato tra le risate generali Luchetti – ho avuto una folgorazione: per il fratello timido e un pò depresso di Claudio ho pensato che Raoul Bova era perfetto». «Pure con le tute in acetato che mi hai fatto mettere?», ha scherzato Bova. Per Luchetti l’Italia che va a Cannes, tra La nostra vita e Draquila, «è esattamente l’Italia di oggi, non si può chiudere gli occhi. Guzzanti lo fa scandalizzandosi, io con un approccio sentimentale emotivo. Il cinema è il termometro sotto l’ascella di un paese e a Cannes questo è sempre stato raccontato. Pensate nel momento massimo delle ideologie cosa era questo festival». Luchetti, che dice di amare quel cinema dei fratelli Dardenne che La nostra vita sembra ricordare, conclude con la politica, visto che considera il suo film «politico ma a posteriori, apparentemente senza presa di posizioni, raccontando quell’unico modello vivo in un paese senza senso della collettività, ossia quello di diventare ricchi a tutti i costi». Per Luchetti la sinistra, «non deve continuare a giocare di rimessa, non bisogna semplicemente rispondere al governo ma promuovere nuovi modelli di felicità».

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