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di ROMANO PITARO
Non è male, ogni tanto, guardare dalla Calabria a quel che accade in Europa. Il voto che rischia di sfasciare il Belgio, anzi, è una lezione da non sottovalutare. Dimostra, anzitutto, che certi processi storici, unitari e democratici, possono marcire. Che certe minacce possono trapassare il video e cambiare in peggio le nostre vite. E lasciare il campo ad altri processi, di cui sfuggono tratti e finalità, ma che destano, per una serie di ragioni, preoccupazioni e inquietudini. Forse le grandi potenze europee (se ce ne sono ancora) impediranno il collasso del Belgio richiesto dal voto delle Fiandre. Forse no. Forse i ricchi del Nord non aspettavano altro, e ora la Vallonia povera, dove hanno vinto i socialisti di Elio di Rupo, dovrà far da sé. Come? Ce lo dirà la storia. Come spiega Giuseppe De Rita, questo è il tempo in cui alcuni importanti cicli storici si chiudono ed altri iniziano a dispiegarsi. E’ vero, l’Italia non è il Belgio. E la secessione inseguita dalla Lega e da segmenti di società ricca del Paese, è più un atto politico, a volte morbido a volte rozzo, che un bisogno linguistico e culturale. Però non è superfluo notare che le Fiandre giungono al desiderio di “veder evaporare lo Stato”, dopo il fallimento del federalismo, che, una volta impiantato, ha avuto due effetti: alti costi e aumento del debito pubblico. Allora la riflessione è: mettiamo che in Italia il federalismo vada in porto; ma che, invece di essere un toccasana per le aree deboli del Sud, peggiori drammaticamente la loro condizione. Al punto di dimostrare che la “bestia” meridionale, una volta affamata, da sola non riesce neanche a muoversi e che, quindi, per le aree forti del Paese, è giocoforza abbandonarla al suo destino. Allora che ne sarebbe del profondo Sud arretrato e depresso di cui la Calabria è parte a pieno titolo? Non ci sarebbe il rischio di consegnare una regione intera alla marginalità sociale ed al sottosviluppo cronico infarcito di poteri illegali? Ecco perché la Calabria deve guardare al voto belga. Non sarebbe saggio distrarsi dal dibattito nazionale ed europeo. Semmai, in quel dibattito, occorre ficcarsi rapidamente ed esserne protagonisti. Vale la pena porre condizioni. Chiedere di vedere le carte, capire tutti gli scenari possibili. Valutare i pro ed i contro. Non varrebbe granché, altrimenti, il successo politico, nella congiuntura che attraversiamo, né servirebbe – di sicuro a ragione – urlare al lupo, dove il lupo sono le classi dirigenti meridionali che hanno contribuito alla disfatta, se poi, all’improvviso, le Regioni meridionali, vuoi per la crisi internazionale vuoi per i condizionamenti della Lega sulle politiche economiche, sono costrette a tagliare servizi, ridurre le già fragili aspettative dei cittadini e cancellare il futuro per i giovani del Sud. Il federalismo può essere un’occasione per l’Italia disorientata che il prossimo anno compie 150 anni suonati, l’unico modo possibile per consentire la convivenza tra ricchi e poveri senza strappi, ma potrebbe anche tramutarsi, lo scrivono esperti di vaglia, in un de profundis per il Paese, qualora le cose andassero storte. E può anche essere il modo felpato, argomentato a tavolino, scelto da chi, nel Nord e in parte del Centro, ormai è convinto che il Sud non ce la potrà più fare a rimettersi in piedi. Un modo per liberarsene senza traumi. Come dire: facciamo il federalismo, che rimane l’unico tema politico che colma, tra l’altro, il vuoto di proposte del Sud, periferico economicamente e incapace di idee forti e nuove parole d’ordine. Poi, quando il dado è tratto, le aree ricche dialogheranno, senza più la zavorra meridionale, con i bacini sviluppati dell’Europa, mentre guarderanno le regioni svantaggiate dell’Italia del Sud prima arrancare e poi soccombere. Allora sarà secessione. Non traumatica, infatti ci si arriverebbe quasi per necessità ed in maniera automatica. Ecco, a quest’imbroglio possibile ed a questo esito disastroso la Calabria deve guardare con acume e furbizia. Spendendo l’entusiasmo e l’indubbia voglia di fare per una battaglia epocale che, insieme, consentirà l’irrobustimento delle leadership e darà più visibilità alle ragioni dei calabresi. Rammentando, in ogni sede, il contributo dato dai meridionali alla crescita del Paese e biasimando la follia di spaccare un Paese che, grazie agli italiani di ogni regione, è diventato la settima potenza industriale.

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