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di ANTONELLA CIERVO
GUARDANDOLO dall’alto del terrazzamento naturale, in discesa verso la torre, il Castello Tramontano sembra un guardiano. Osserva e controlla tempo e spazio e come all’epoca di Charles de Montigny, nel 1810. sta per tornare alla fruizione pubblica come luogo collettivo.
Tra l’erba che cresce sembra quasi che possa spuntare, a passeggio, un ufficiale dell’esercito francese, così come accadeva nell’800 quando le guarnigioni d’Oltralpe erano di stanza a Matera.
«De Montigny amò molto questa città – racconta Gigi Acito, – – e realizzò via Castello e il parco nel quale realizzò una terrazza-belvedere per poter guardare la Murgia e i paesi dell’entroterra. Una pergola, delle panche per sedersi e per godersi l’aria salubre, consentivano di usufruire di quello spazio come di un luogo di assoluto relax». Un principio-base rispettato anche per i lavori di ristrutturazione che ormai sono in fase di ultimazione e che consentiranno entro la prossima primavera di utilizzare l’intero spazio che circonda il castello.
Dall’alto del terrazzo naturale ricreato ai giorni nostri, Acito continua il suo racconto: «All’epoca qui si trovavano le colonne di oriental granito dell’antica chiesa di S. Eustachio, la chiesa che precedette la cattedrale di Matera e che oggi si trovano in diversi punti della città: una è quella che funge da base della Madonnina di via Annunziatella, un’altra si trova ai piedi della scalinata della Cattedrale, un’altra è alla Palombo e un altro pezzo dell’ultima colonna si trova al Museo Ridola. Nel 1880 il conte Gattini, riprese l’iscrizione che si trovava sull’obelisco, realizzata dal presidente del tribunale dell’epoca, Martuscello che noi abbiamo recuperato nei lavori effettuati, inserendola in questa seduta che guarda in linea simmetrica verso la Torre e che così riporta: Impervio calle inospito e selvaggio, agevole si è reso ameno e grato. La spina e il cardo irsuto il suol rendea. Or vi germoglia il giglio e la viola. Rare colonne d’oriental granito giacquer neglette lungo tempo. Or sono l’ornamento miglior di questo loco, soggiorno delle grazie e del piacer».
Nello stesso spazio, Acit propone di inserire una straordinaria riproduzione di quell’epoca realizzata in ceramica da Peppino Mitarotonda, in modo da consentire un viaggio nel tempo attraverso una delle tecniche artistiche più caratteristiche della città di Matera.
Su circa due ettari di area, sui quali è stata impiantata una parte in erba ed effettuati i lavori di terrazzamento per una spesa complessiva di 664 mila euro si prosegue fino al cancello d’ingresso del castello. «Questa zona – prosegue Acito – ricorda un po’ i terrazzamenti chiamati bagni del sole nel periodo fascista. La parte centrale, invece, è stata ricoperta della tipica terra rossa del castello. Una specie drenante che portava l’acqua alla fontana. Alle spalle del castello, infatti, abbiamo trovato un pozzo attivo a dimostrazione che l’acqua c’è e che può rientrare in un discorso più ampio legato ad un percorso complessivo».
La vicenda della terra rossa del Castello ha un’origine ben precisa, spiega ancora Gigi Acito: «Gli storici parlarono del bolus armenus, la sabbia rossa (che oggi viene chiamata sabbia dello statuto) con qualità geologiche drenanti che lasciava in superficie un lapillo. In questo senso, il nostro progetto ricuce tutte quelle vicende. Creare il parterre con il ghiaietto ci ha consentito di garantire l’equilibrio idrostatico per evitare di far lesionare il castello. Purtroppo all’epoca in cui questa zona fu usata come area sosta per i camper furono realizzate gettate di cemento, eliminarono la terra rossa e così l’acqua, per un po’, non penetrò più».
Il contrasto di colore è evidente e rende ancora più suggestiva la struttura del Castello, al centro di auiole, roseti e vialetti che una accurata gestione e un attento senso civico dei materani dovranno garantire.
L’appello di Acito, in questo senso, è accorato ma al tempo stesso perentorio.
«Il parco merita un custode; una persona sarebbe in grado, da sola, di garantire la manutenzione delle aiuole e delle aree verdi e potrebbe occuparsi degli ingressi dei visitatori all’interno del Castello. I nostri giovani, poi, dovranno rispettare questo spazio che è di tutti».
E’ facile immaginare l’area antistante che segue il perimetro dei giardini, utilizzata per il jogging mattutino o per i bagni di sole. Facile ma non realistico se, invece, si torna indietro con la memoria all’inaugurazione del Boschetto che si trova solo a pochi passi e che qualche giorno dopo la sua inaugurazione ufficiale, all’epoca della giunta Porcari, fu preso d’assalto dai vandali.
La visita, nel frattempo, si sposta all’interno del Castello nel punto in cui, all’epoca di De Montigny, si trovava il ponte levatoio e che oggi ospita una finestra a grata da cui si osserva la terrazza naturale che scende dall’alto e sul fronte posteriore la zona che ospiterà un’area panoramica e l’area giochi per i più piccoli. «La mia proposta è quella di ripristinare il ponte come passaggio tra la zona antistante e quella posteriore. In questo modo si può comprendere meglio il rapporto tra il Castello e la Civita – prosegue Acito – anche se i palazzi costruiti negli anni ’60 ostruiscono la vista».
Tra le ipotesi di utilizzo esterno ovviamente c’è quella più naturale, per rappresentazioni teatrali o culturali che trovano negli immensi spazi esterni il contenitore più adatto.
«Come una grande cavea – aggiunge Acito – per poter assistere a spettacoli dal vivo».
Le sale interne del Castello (dove si dice si debba entrare almeno una volta nella vita) sembrano custodire una storia non ancora del tutto raccontata, piccoli spazi con sedute minuscole indicano il luogo in cui le vedette facevano la guardia al castello, per garantire la sicurezza di chi lo abitava, sedendosi su un minuscolo pezzo di pietra nel muro. Una serie concentrica di aperture circolari indica tra un piano e l’altro, le sale centrali fino a giungere a un lucernario da cui entra la luce che illumina l’interno.
Corridoi minuscoli e scale conducono alla sommità del castello, sulla torre che guarda a sinistra verso il Parco, a destra verso la città e, più in lontananza alla Gravina e di fronte a quelli che una volta erano i due colli a cui si aggiungeva quello del castello: Macamarda (oggi scomparsa per fare spazio al centro direzionale) e il cimitero.
«La città una volta finiva qui. I tre colli facevano da corona alla civita. Uno dei tre, purtroppo, è ormai completamente perso perché ci hanno costruito».
Dalla cima della torre basta guardare in basso si scorgono le fessure dalle quali le guardie gettavano l’olio caldo contro i nemici che tentavano di espugnare il castello attraverso il fossato sotto il ponte levatoio.
Sembra quasi di sentire il frastuono della battaglia, a pochi passi dalla Civita materana dell’800.
Poi ti guardi intorno e in lontananza senti il tosaerba che rade il prato.
Il generale Charles De Montigny, nonostante tutto, è ancora qui.

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