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«Alla fine di giugno abbiamo chiuso la nostra Casa Rifugio per donne in difficoltà. Non per scelta dettata da nostra incapacità o svogliatezza o dalla mancanza di donne necessitate. Purtroppo abbiamo chiuso la Casa Rifugio per mancanza di fondi».
E così una delle strutture più importanti impegnate nel contrasto alla violenza sulle donne e intitolato a Roberta Lanzino (in foto), la studentessa cosentina violentata e uccisa nel luglio 1988 mentre stava andando con il suo motorino a Falconara Albanese, sul Tirreno cosentino, chiude i battenti.
La nota arriva proprio dal Centro contro la violenza alle donne Roberta Lanzino che gestiva la casa rifugio: «Per scelta, invece non lo abbiamo comunicato ai media. Scelta pensata e meditata a favore di tutte quelle donne in procinto di denunciare, pronte a rompere il muro del silenzio. Le avremmo impaurite, lasciate sole, non accompagnate nel difficile percorso di uscita attraverso un’accoglienza rifugio volta al loro rafforzamento e a mettere loro in sicurezza; abbiamo evitato di comunicarlo nella stagione estiva sempre troppo ricca di episodi, non certo sporadici, di maltrattamenti e violenze dentro e fuori le mura domestiche. Il nostro cellulare di emergenza ha continuato a squillare nei mesi di luglio e agosto e noi abbiamo continuato a rispondere, pur da volontarie, cercando di far sentire meno sole e di indirizzare le donne in difficoltà».
«Hanno chiamato anche assistenti sociali e psicologhe dei consultori della provincia di Cosenza, di Catanzaro, di Crotone – è scritto ancora nella nota – chiedendo un posto sicuro per donne che subivano violenza e avevano bisogno di allontanarsi immediatamente con i loro figli minori. Abbiamo risposto, e ci dispiace, che la nostra casa non è più disponibile; abbiamo fornito loro i numeri di telefono di centri di accoglienza fuori della Calabria che hanno qualche disponibilità, pur sapendo come sarà difficile per queste donne spostarsi dal loro ambiente e dai loro legami. I pochi Istituti religiosi della nostra regione che hanno la possibilità di ospitare donne con minori hanno sempre poca disponibilità e non riescono a gestire l’emergenza. Del resto le istituzioni regionali, provinciali e comunali ben sapevano delle difficoltà economiche del Centro e non sono riuscite, o non hanno voluto, sostenerlo».
«E’ vero, la cultura del rifiuto della violenza, della denuncia dei soprusi – riporta ancora il documento – comincia, seppur con difficoltà e lentezza, a farsi spazio tra le donne di Calabria; il rischio che intravediamo è quello dell’inerzia delle istituzioni che, poco attente e vigili, non si adoperano per sostenere e valorizzare quei luoghi, quelle strutture di accoglienza, dove le donne possono rifugiarsi in sicurezza, per riprendere in mano la propria vita. Una Legge Regionale (n. 20 del 21 agosto 2007 ‘Disposizioni per la promozione ed il sostegno dei centri di antiviolenza e delle case di accoglienza per donne in difficolta») ha finanziato per un anno sei nuove associazioni che si occupano di violenza alle donne. Quanti ancora funzionano, quali possibilità hanno di continuare la loro attività? Chiediamo agli amici giornalisti di farsi carico di questa indagine. Non vogliamo che la cultura del riconoscimento della violenza di genere e della sua lotta sia un fatto puramente formale e di immagine. Per questo chiediamo alle istituzioni di manifestare reale interesse per affrontare e cercare di porre rimedio ai gravi problemi sociali connessi con la violenza alle donne».
«Per finire una rassicurazione: il Centro contro la violenza alle donne Roberta Lanzino – conclude la nota – continua ad offrire la sua prima accoglienza in sede e le sue consulenze legali, psicologiche, ginecologiche, la sua attività formativa per le scuole e per gli operatori dei servizi; almeno fino ad esaurimento fondi. Di certo non possiamo più ospitare le donne in grave pericolo nella Casa Rifugio. E non è poco».

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