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di Andrea Di Consoli
Il coraggioso, onesto, importante editoriale di Paride Leporace, scritto all’indomani della commemorazione del diciassettesimo anno della morte di Elisa Claps – commemorazione durante la quale don Marcello Cozzi di Libera ha invocato l’intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sull’inopportunità che il giudice Felicia Genovese continui a svolgere il proprio lavoro nonostante i rapporti di vicinanza con la ‘ndrangheta del marito Michele Cannizzaro – ha aperto, com’era necessario che accadesse, una nuova stagione di analisi storica e di militanza civile in Basilicata.
Nel volgere di pochissimi giorni sono accadute molte e tumultuose cose, nella nostra regione: la querela, l’ennesima, di Michele Cannizzaro a don Marcello Cozzi; lo scontro tra l’Azione cattolica e Libera; le rimostranze pacate e ferite del Vescovo di Potenza Mons. Agostino Superbo; le rivelazioni del pentito Alessandro D’Amato, che avrebbe confessato di aver ucciso i coniugi Gianfredi; il carteggio polemico tra Leporace e Gigliotti; e, infine, la conferenza stampa di ieri di Libera, dove don Marcello Cozzi ha detto di temere per la propria vita proprio in seguito alle rivelazioni del pentito D’Amato, perché, secondo sue notizie, gli assassini sono altri, e tali nomi li avrebbe già fatti alla Magistratura.
Quindi, questo è un momento cruciale, un momento di verità che, ne siamo certi, cambierà la lettura dell’ultimo decennio in Lucania. Inutile è invocare l’abbassamento dei toni, perché l’affaire Cannizzaro-Genovese è la matrice di ogni vulnus giudiziario, politico e sanitario degli ultimi anni e, finché non verrà chiarito fino in fondo, la società e la politica lucana rimarranno bloccati a uno stadio di sospetti, di disonestà e di processi sommari.
Più volte il “Quotidiano della Basilicata” ha raccontato i fatti, i puri fatti; e non già per amicizia e vicinanza a Michele Cannizzaro, ma per amore di verità. Forse non si dice fino in fondo che Michele Cannizzaro non è affatto un uomo potente, ma un uomo emarginato dal sistema politico e sanitario locale, che non ha incarichi e non prende soldi pubblici (se non in qualità di medico titolare di un eccellente centro di riabilitazione); anzi, è un uomo che viene riempito di solidarietà dalla politica in privato, mentre in pubblico nessuno si esprime (in specie tra i politici), perché si teme un suo ritorno al San Carlo di Potenza, dove ha contrastato corposi interessi di parte e pressioni lobbistiche – forse, diciamolo pure, se ne teme il favore di una parte dell’elettorato, che non dimentica la sua esperienza positiva presso il massimo centro ospedaliero lucano.
Don Marcello Cozzi dice di temere per la sua vita. Ne siamo dispiaciuti, ma non abbiamo elementi per avvalorare tale paura. Tutto questo lo diciamo per rassicurarlo, anche perché più volte a noi del “Quotidiano” sono arrivati segnali inquietanti da ambienti poco raccomandabili, ma non ne abbiamo fatto cenno in pubblico, perché fa parte del nostro lavoro.
A don Marcello Cozzi, però, continuiamo a contestare la mancanza di dubbi. Non mettiamo la mano sul fuoco che a uccidere i coniugi Gianfredi sia stato D’Amato (anche su notizie certe al 99% si deve dubitare almeno un po’), ma perché non crederlo affatto? Perché non ammettere che si può sbagliare? Perché non pensare che le informazioni che si posseggono possano essere sbagliate? Come più volte abbiamo scritto, non pensiamo che in Basilicata ci sia un’emergenza mafiosa; ma come non sapere che questo inasprimento delle accuse, questo insistere su fatti smentiti da altri fatti, non può che trasformare una testimonianza di giustizia in una testimonianza di arroganza? Cosa c’è sotto l’ostinazione a considerare Michele Cannizzaro un uomo vicino alla ‘ndrangheta?
A volte, lo sappiamo tutti, si è costretti dalle circostanze sfavorevoli a mantenere posizioni sbagliate, a tenere viva una linea che si spegne. Ma costa così tanta fatica arrendersi davanti all’evidenza dei fatti? Don Marcello Cozzi forse penserà che noi del “Quotidiano” abbiamo sposato una linea disonesta, un gruppo di potere, un comitato di lestofanti. Non è così; e solo chi non conosce lo spirito terzista ed anarchico del suo direttore può pensare una simile cosa. Michele Cannizzaro, ripetiamo, è stato per molti anni un vero e proprio appestato della società, uno che andava in giro ben sapendo che la gente pensava che fosse stato lui a far sciogliere nell’acido il corpo di Elisa. Tutto questo mentre don Cozzi otteneva il favore di parte del popolo e del sistema mediatico; e tutto questo mentre il San Carlo ripiombava in una medietà che Cannizzaro aveva ribaltato con piglio decisionista con eccellenze quali quella di Caparrotti alla cardiochirurgia. I potenti erano e sono altri, ovvero tutti quelli che sono cresciuti professionalmente e politicamente anche grazie alla caduta di Michele Cannizzaro e della moglie Felicia Genovese.
Siamo stati gli unici a dar loro voce; e, ripetiamo, non è stato dare voce a dei potenti, ma a persone con una importante storia alle spalle che si erano ritrovate ad essere accusate in maniera virulenta da giornalisti e da ambienti della società civile di crimini infamanti.
Più volte Michele Cannizzaro ha espresso il desiderio, al di là delle indagini che smentivano le accuse che gli venivano rivolte, di confrontarsi pubblicamente con don Marcello Cozzi (avrebbe risposto a ogni sua domanda). Questo incontro non è mai avvenuto, evidentemente perché don Cozzi non ha ritenuto opportuno farlo. Perché?
A noi del “Quotidiano” non ci è stato perdonato di aver smontato i teoremi su Cannizzaro e i complotti su Felicia Genovese; non ci è stato perdonato di aver smontato la pista boccaccesca dei “festini” sulla morte di Luca e Marirosa il 23 marzo del 1988; non ci è stato perdonato l’aver espresso dubbi sul metodo e sul merito di magistrati quali Henry John Woodcock; non ci è stato perdonato di aver dato voce a Danilo Restivo; non ci è stata perdonato l’insistenza con la quale abbiamo chiesto alla politica lucana di maggioranza e di opposizione di uscire allo scoperto, di dire una parola di verità sulla guerra giudiziaria che è piombata in Basilicata all’indomani della decisione governativa di stabilire a Scanzano Jonico il sito di stoccaggio unico per le scorie radioattive italiane e non solo (tutto l’ambaradam parte da qui, ma ci torneremo con più calma nei prossimi mesi). E, francamente, non sappiamo dire chi rischi di più, in questo momento. Una cosa, però, la sappiamo con certezza: accusare Michele Cannizzaro, che abbiamo imparato a conoscere bene in questi ultimi mesi, non espone a nessun rischio, se non a una legittima querela. Ma gli altri? Paride Leporace ha parlato apertamente della presenza dei servizi segreti deviati in Basilicata. Chi sono questi personaggi? E per quale “sicurezza dello Stato” hanno operato in Basilicata? Chi vorrebbe quindi far male a don Marcello Cozzi? Questo “sistema di potere” di cui “Il Quotidiano” farebbe parte, e quindi anche il sottoscritto? Non scherziamo, cerchiamo di essere seri.
Tutti però adesso abbiamo il dovere di andare fino in fondo: chi è nel giusto venga riabilitato, chi è nel torto abbia perlomeno l’umiltà di chiedere scusa (non amiamo le punizioni, ci basta l’onestà intellettuale). E’ così difficile?
E la politica? Come mai Vito De Filippo, Vincenzo Folino, Agatino Mancusi, Roberto Speranza, Nicola Pagliuca non intervengono in questo dibattito che sta riscrivendo la storia recente della nostra regione? Come mai si ostinano a rimanere retroguardia culturale arroccata nelle stanze politiciste proprio nel mentre la società civile affronta temi delicati e cruciali? Come mai si persevera nell’atteggiamento di chi considera il silenzio la condizione necessaria all’esercizio del potere? Non si tratta di esprimersi pro o contro Michele Cannizzaro o pro o contro Felicia Genovese. Si tratta di capire in che modo la magistratura si è intrecciata negli ultimi con la politica; in che modo la politica ha deciso di stoppare il processo di rilancio della Sanità (benché l’attuale Assessore Attilio Martorano sia un buon Assessore); e, soprattutto, in che modo lo spirito giustizialista ha fatto fuori una parte della classe dirigente lucana, anche per mano di alcuni politici tutt’ora in sella.
Una stagione si sta chiudendo, e le parole di don Marcello Cozzi lo testimoniano. Sono finiti i tempi delle accuse sommarie e dei processi in piazza. E il Quotidiano della Basilicata ha dato un contributo importante allo smantellamento della peggiore malattia della democrazia lucana: il populismo, la demagogia giustizialista. Proprio nel mentre tutto questo sta accadendo, per esempio, sul nostro giornale sta crescendo un bellissimo dibattito sui trentenni che decidono di rimanere in Lucania. Cosa vogliamo dire con questo? Che aver voluto alimentare un clima così cupo, aver voluto dipingere la nostra terra all’intera nazione come una terra di mafiosi, di lestofanti, di borghesi massoni, di preti assassini, ha sicuramente scoraggiato e indignato centinaia di migliaia di persone, rafforzando, ancora una volta, il potere costituito, che ne esce con le mani linde e pulite. Ma cosa faremo il giorno in cui ci accorgeremo che quelli che avevamo indicato come assassini o come “nemici” non lo erano? Il giorno in cui ci accorgeremo che i “salvatori” erano animati da sentimenti di acredine, di potere, di rivalsa, o addirittura da interessi torbidi?
Non vogliamo dire che non ci siano zone d’ombra nella nostra terra; vogliamo dire che non ha senso enfatizzarle, e presentarle ai giovani come un’emergenza del tipo campano o calabrese. Tutto questo favorisce il cancro dell’antipolitica, del qualunquismo, della politica clientelare e dell’emigrazione crescente.
Ecco perché d’ora in avanti lo “gliommere” dove verità e menzogna si confondono senza chiarezza dovrà rapidamente districarsi. Don Marcello Cozzi potrebbe così ritornare ad essere autorevole punto di riferimento per la legalità e la verità storica della nostra regione, e Michele Cannizzaro quel manager sanitario pubblico che tutti ancora rimpiangono. Se solo, però, s’imparasse a dire la verità, se solo s’imparasse a emarginare i veri lestofanti, se solo la politica fosse meno politicante e se solo s’imparasse a chiedere scusa. Se invece ognuno rimarrà nelle proprie posizioni, si andrà inesorabilmente verso uno stallo sociale e culturale.
A don Marcello Cozzi chiediamo almeno, per una volta, di considerare in buona fede le nostre posizioni basate sui fatti. Se non vorrà riconoscerci in buona fede, buona parte di questo clima teso sarà un giorno addebitato alla sua ostinazione nel non affrontare i fatti storici con serenità. Nessuno ce l’ha con lui, come dimostra il rapporto di vicinanza per il passato tra il nostro Direttore e lo stesso don Marcello. Ma aprire ogni giorno un fronte nuovo non giova a nessuno. Su Cannizzaro, sulla Genovese, sull’omicidio Gianfredi ora va messo un punto fermo, e da lì si dovrà ripartire con serenità. Chiedere invece la verità sulla morte di Elisa Claps, lo sappiamo, è chiedere troppo, benché non si attenda altro da diciassette anni, anche da parte di quelli che Gildo Claps considera venduti, traditori e nemici della verità. Un giorno capirà anche lui lo spirito che ci ha animato in questa lunga battaglia civile di natura, come ci ha ricordato ieri Paride Leporace, sciasciana. Perché noi siamo anche maturati, con il caso Cannizzaro-Genovese: da pasoliniani siamo diventati sciasciani. E non è poco, per uomini di pancia e di sangue caldo come noi.

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