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di LEO AMATO «Solo pentiti», collaboratori di giustizia, criminali che hanno scelto di passare dall’altra parte. Il carcere di Paliano in provincia di Frosinone ospita soltanto collaboratori di giustizia dai tempi della lotta al terrorismo. È lì che è stato trasferito nei giorni scorsi Antonio Cossidente, l’erede designato del “bastone” della quinta mafia, il boss dei reduci potentini della diaspora dei basilischi. Ed è la prova dei sospetti che da qualche settimana avevano cominciato a circolare sul suo conto, con sempre più insistenza da quando si è diffusa la notizia di un’altra collaborazione eccellente, quella del braccio destro del boss del braccio melfitano del clan, il “caronte” di Marco Ugo Cassotta, ucciso il 17 luglio del 2007: Alessandro D’Amato, che tra le altre cose si è accusato di essere anche «il killer dei Gianfredi» proprio su mandato di Cossidente.
Mistero sul contenuto delle sue dichiarazioni, che saranno oggetto di riscontro nei possimi mesi, e intanto resteranno coperte dal segreto. Ma non sono passate inosservate le trasferte nella capitale del pm Francesco Basentini della Direzione distrettuale antimafia di Potenza. È a lui che Cossidente starebbe rivelando la verità su una carriera criminale lunga almeno vent’anni, e il sistema di relazioni della quinta mafia con ambienti insospettabili della politica e dell’imprenditoria lucana, spesso soltanto sfiorati dalle inchieste della Dda.
In realtà era da almeno due anni che gli investigatori stavano stringendo il cerchio attorno al boss potentino, che nell’estate del 2008 dopo un fallito attentato nei suoi confronti si era ritirato nel nolano. Ma anche da lì sembra che continuasse a gestire diversi traffici diretti nel capoluogo. Lo aveva detto chiaramente agli inizi di giugno Alessio Telesca, uno che gli era stato molto vicino e per un periodo gli aveva fatto da autista. Lo spaccio di cocaina in città sarebbe andato avanti fino all’altroieri nonostante le operazioni dei carabinieri del nucleo provinciale investigativo ai comandi del capitano Antonio Milone, un “mastino” che quando punta un obiettivo di solito non lo molla facilmente. L’avevano chiamata operazione “Arma letale”, e si è conclusa di recente in primo grado con una serie di condanne molto pesanti. Cossidente se l’era scampata, perchè nelle intercettazioni si parlava di un “Rocchino” rimasto sconosciuto, fin quando Alessio Telesca ha cominciato a collaborare con la giustizia e ha rivelato che era proprio lui, Cossidente.
Da quel lavoro sarebbero partiti almeno altri due diversi filoni d’indagine: uno sul business della security nei locali; e un altro sul calcio scommesse e i rapporti con il Potenza calcio; mentre su un giro di coca nella “Potenza bene” la quadra non è mai arrivata.
Inquietante il capitolo dei rapporti con la politica. Basta ricordare la conversazione intercettata sempre dai carabinieri con il consigliere regionale Luigi Scaglione sul progetto di un nuovo stadio cittadino, per cui quest’ultimo è stato accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, e l’ipotesi di voto di scambio che coinvolge l’ex assessore al bilancio di Potenza, Rocco Lepore. Poi ci sono i prestanomi e una serie di attività commerciali sospettate di riciclare danaro sporco. Cose da far tremare mezza città, che rendono l’idea della caratura criminale di un boss, che si è saputo guadagnare il rispetto degli esponenti anche dei clan calabresi e della “sua” Campania. Pagine di una storia rimasta ancora nell’ombra che gli investigatori stanno già scrivendo.

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