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di ANTONIO NICASO
Ha vissuto abbastanza per poter presagire il futuro nero che lo avrebbe travolto. Nicolò Rizzuto a Montreal era tutto. Gli chiedevano consigli e gli portavano rispetto. Per cinquant’anni ha comandato senza dare ordini. Temeva la pubblicità più delle manette, e aveva una sua saggezza: quando tira vento, fatti canna. Come i vecchi padrini, ha segnato l’epica di Cosa nostra tra la Sicilia e le Americhe. Uomo di poche parole, nasce contadino, iniziando la sua carriera quando la mafia è ancora legata al latifondo. Affabile e duro, non passa inosservato. Nel 1945 sposa la figlia del capobastone di Cattolica Eraclea e comincia a fare il campiere nelle terre del barone Agnello, nel feudo di Bissana. Dopo aver tentato di emigrare negli Stati Uniti, dove il nonno agli inizi del secolo scorso era stato ammazzato per una questione di donne, nel 1954, grazie a una lettera di benemerenza dell’arciprete di Cattolica Eraclea, giunge in Canada con la moglie e i due figli, Vito e Maria. Proprio in quello stesso anno a Montreal approda anche Carmine Galante, luogotenente di uno dei boss più potenti di Cosa nostra, quel Joe Bonanno che ha ispirato scrittori come Guy Talese e Mario Puzo e registi come Francis Ford Coppola e Martin Scorsese. Nelle Americhe Cosa nostra è diversa da quella siciliana, pur avendo una matrice comune. Da sempre accoglie in una sorta di melting pot criminali di varia estrazione. Ci sono italiani di origine siciliana, campana, pugliese, abruzzese e calabrese. È meno selettiva, la competizione con le altre mafie è più agguerrita. Per entrare nel giro bastano coraggio e lealtà. Il sangue e la terra contano di meno. Quando Rizzuto arriva a Montreal, il boss della decina canadese dei Bonanno è Vic Cotroni, ex campione di wrestling, originario di Mammola, in provincia di Reggio Calabria. E quando nel 1975, dopo decenni di incontrastato dominio, Cotroni decide di farsi da parte per ragioni di salute, gli succede Paul Violi, anch’egli calabrese, originario di Sinopoli I modi di Violi sono diversi da quelli di Cotroni. È aggressivo e non accetta repliche. Rizzuto lo mette in discussione, lo sfida, forte dell’alleanza con i Cuntrera-Caruana, i maggiori esportatori di eroina dal Canada verso gli Stati Uniti. Fallite le mediazioni, Rizzuto fugge in Venezuela con la famiglia. È in quegli anni che la polizia di Montreal, attraverso intercettazioni nel bar di Violi, riesce ad acquisire informazioni importanti su Cosa nostra, sulla sua gerarchia e sull’esistenza in Sicilia di una commissione regionale. Un dossier che anticipava di dieci anni la testimonianza di Tommaso Buscetta rimane stranamente chiuso in un cassetto della questura di Agrigento. Rizzuto affida al cognato, Domenico Manno, l’incarico di uccidere Violi e spianare il rientro in Canada dell’ex campiere di Bissana. Montreal passa sotto il controllo dei “siciliani” e in poco tempo, grazie anche al figlio di Nicolò Rizzuto, Cosa nostra si trasforma in una holding internazionale. L’hashish arriva dal Pakistan e dal Libano, l’eroina dall’Asia e dalla Sicilia. Vito Rizzuto, il figlio del padrino, collabora con tutti, con la West End gang, la mafia irlandese, ma anche con i cartelli colombiani e le bande di motociclisti, molto attive in Canada. In quegli anni si guadagna il nomignolo di “Teflon Don”, le accuse di droga gli scivolano addosso come la pioggia sul Teflon. Nel 1990 la polizia federale canadese riesce a infiltrarsi nel giro dei Rizzuto. Mette in piede un ufficio cambi e, con agenti sotto copertura, effettua operazioni per circa 123 milioni di euro in pochi mesi. Incastrano i fedelissimi del boss, ma non lui. Dal 1987 al 2002 elude nove indagini della polizia canadese. Sembra intoccabile e con lui il resto della sua famiglia, il vecchio padrino, il cognato, Paolo Renda e i suoi luogotenenti, il calabrese Francesco Arcadi e il pugliese Rocco Sollecito. A lui si rivolge anche un generale che vanta crediti nei confronti di Ferdinando Marcos per recuperare il tesoro dell’ex dittatore filippino. Finisce in manette solo quando negli Stati Uniti comincia a vuotare il sacco Salvatore Vitale, cognato di Joseph Massino, il nuovo boss della famiglia Bonanno. Altri cinque collaboratori confermano le testimonianze di Vitale e Vito Rizzuto, per ordine dell’Fbi, viene arrestato il 20 gennaio del 2004 per concorso in triplice omicidio, uno degli episodi più efferati della faida scoppiata all’interno della famiglia Bonanno ricostruito anche nel film “Donnie Brasco”, con Al Pacino e Johnny Depp. Nei confronti del Teflon-Don canadese si muove anche la magistratura italiana che nel febbraio del 2005 lo accusa di riciclaggio di denaro sporco. A Roma, viene arrestato dalla Dia Giuseppe Zappia, un anziano ingegnere che negli anni ’70 è stato coinvolto in una inchiesta per presunte tangenti nella costruzione del villaggio olimpico di Montreal. In una telefonata intercettata, l’ingegnere dice di avere pronti 5 miliardi di euro per la costruzione del Ponte sullo Stretto. Evita di incontrare Rizzuto e per comunicare con il boss utilizza un intermediario: «Se tutto va bene», lo rassicura, «farò il ponte di Messina. Poi faremo tornare in Italia l’amico (Rizzuto, secondo gli inquirenti), ma prima bisogna accontentare sia la mafia che la ‘ndrangheta». È una vera mazzata per Rizzuto, che viene estradato e condannato negli Stati Uniti. Racconta Bob Baer, l’ex agente della Cia che ha ispirato “Syriana”, il film di Stephen Gaghan con George Clooney: «Alcuni familiari del boss mi hanno voluto vedere per proporre uno scambio di intelligence al governo americano (per evitare l’estradizione di Vito Rizzuto, nda). Avevano informazioni sui legami tra trafficanti libanesi e cellule terroristiche. Ovviamente non se ne è fatto niente» Nicolò Rizzuto, il vecchio padrino, è costretto a tornare in prima linea. Viene coinvolto nell’operazione Colosseo, novanta arresti, tra cui due agenti della dogana e diversi impiegati dell’aeroporto internazionale di Montreal, accusati di facilitare il transito dei carichi di droga: le giubbe rosse in Venezuela scoprono un container con 1.300 chili di coca pronto a prendere il volo. Ci sono poi le scommesse, più o meno clandestine, su Internet, prima attraverso un server in Belize e poi con un altro in una riserva indiana lungo il confine con gli Stati Uniti: solo sul web avevano smistato 26 milioni di dollari in pochi mesi. Nuove frontiere, vecchi padrini. Arrivano altre cattive notizie dall’Italia, la possibilità di un’altra estradizione per Vito Rizzuto, accusato ancora di riciclaggio di denaro sporco. Qualche mese fa al processo a Roma un sergente dell’Rcmp conferma il coinvolgimento dei Rizzuto nel settore delle costruzioni in Quebec. «A loro bisognava pagare il 5% su ogni appalto», dice, facendo infuriare i media canadesi, costretti ad apprendere notizie come questa dai tribunali italiani. Vecchi e nuovi nemici si coalizzano. Prima viene ammazzato il nipote del vecchio padrino, Nicolò Junior, poi scompare il genero, Paolo Renda, poi viene eliminato Agostino Cuntrera, il principale alleato dei Rizzuto. Sono segnali che non sfuggono a Nicolò Rizzuto. Qualcuno sta cercando di bruciare il terreno attorno al figlio che nel 2012 tornerà in libertà. Da quando è in carcere, però, molte cose sono cambiate: la cocaina a New York non arriva più attraverso il porto di Montreal, ma dal confine messicano. E soprattutto in Quebec dovrebbe arrivare una pioggia di dollari, 42 miliardi di dollari che il governo provinciale ha investito per costruire centrali idroelettriche e per ristrutturare strade e ponti. Business che fanno gola a tutti. A chi ha tradito i Rizzuto, a chi non li ha mai sopportati e a chi vorrebbe tornare a controllare Montreal. Chi ha lanciato la sfida ai Rizzuto? La polizia alcuni mesi fa non ha escluso il coinvolgimento della ‘ndrangheta che avrebbe interesse a mettere le mani sul «corridoio» ideato da Lucky Luciano per rifornire di cocaina il mercato di New York. Ma le ‘ndrine non hanno interesse a esporsi direttamente, il rischio è quello di un effetto domino. C’è, però, un’anima calabrese anche dentro Cosa nostra che non ha mai dimenticato l’omicidio di Paul Violi e che potrebbe avere interessi nella sfida ai Rizzuto. Ci sono i Bonanno, con i quali i Rizzuto avevano interrotto ogni rapporto dopo l’assassinio di Gerlando Sciascia, il loro uomo a New York, ucciso per ordine di Massino. E ci sono anche gli haitiani che scalpitano e che rappresentano una manovalanza necessaria per lo spaccio di droga. L’ultima mazzata è arrivata mercoledì sera con l’omicidio di Nicolò Rizzuto, l’ex campiere di Bissana che si era rinserrato nelle mura domestiche per evitare di morire con le scarpe ai piedi. Non è bastato, è stata ammazzato davanti agli occhi della moglie e della figlia. Le leggi della mafia neanche in Canada prevedono pensionamenti.

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