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di Francesco Zaccara
LAURIA – Il calcio che unisce, che fa sognare. Il calcio che racconta un popolo. Fabio Tavelli, giornalista e conduttore televisivo, è stato inviato di Sky ai campionati del mondo 2010 in Sud Africa. Dai quaranta giorni vissuti a Johannesburg, è nato un libro: “La mia Sud Africa”, che Tavelli ha presentato nei giorni scorsi al Poseidon di Lauria.
Il libro racconta la vita quotidiana, le tradizioni, i sogni di un popolo che è passato attraverso l’esperienza mondiale lontano dai riflettori. C’è la conoscenza di persone, di ambienti, che spesso sono considerati routine e non vengono raccontati agli spettatori.
Il Quotidiano ha incontrato l’autore.
Dalla cronaca delle partite dei mondiali come si arriva al racconto di un popolo?“Si arriva con il fatto di non accontentarsi, di non guardare solo le partite e cercare di raccontare tutto quello che succede prima e dopo. Perché poi le partite arrivano in televisione ed è abbastanza facile raccontarle o quanto meno chiunque le può vedere e farsi un’opinione. Quello che non abbiamo raccontato probabilmente è tutto quello che sta attorno ed è anche un po’ la vita dell’inviato che tante volte non ci si rende bene conto di come sia il nostro lavoro. Ho provato a raccontarlo con un diario quotidiano, sono pagine di vita vissuta, con il racconto di personaggi, di storie, di ambienti, in un mondo un po’ lontano, molto diverso, non sempre bellissimo”.
Cosa ti ha colpito del mondo che c’era fuori dello stadio?“Mi ha colpito tanto l’entusiasmo dei ragazzi di colore, mi ha colpito tanto il fatto che ero in un posto dove esiste ancora una differenza forte tra bianchi e neri, dove politicamente l’apartheid è stato superato ma socialmente non ancora, e dove si respirava davvero forte la voglia di essere uguali. I ragazzi di colore avevano davvero voglia di dire al mondo che loro sono come tutti gli altri, e secondo me ci sono riusciti”.
Ci racconti un episodio del libro?“C’è un viaggio che ho fatto in bicicletta a Soweto che è un quartiere veramente tra i più poveri al mondo, lì secondo me c’è molto di tutto quello che è la mia voglia di raccontare: ci sono i racconti di bambini che ho incontrato, la grande dignità anche nella povertà e il fatto che tante volte forse, e questo è un piccolo insegnamento per noi che ci lamentiamo, non ci accontentiamo mai. Tante volte avremmo anche di bisogno di fare questi viaggi per renderci conto di quello che c’è fuori”.

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