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BALVANO (POTENZA), 21 NOV – «Sentii un boato, il soffitto della chiesa venne giù, uccise decine di persone, io persi conoscenza. Quando ripresi i sensi, mi ritrovai con il corpo imprigionato tra le macerie, dalle quali emergeva solo la testa. Ero una sepolta viva. Sono rimasta così per alcune ore, sospesa tra la vita e la morte. Poi sono arrivati i soccorritori, sono riusciti a salvarmi ed ho saputo che mia sorella era morta accanto a me»: ha un ricordo indelebile di quella tragedia Antonella Di Lilla, di 41 anni, di Balvano (Potenza), moglie dell’ex sindaco del paese Ercole Trerotola, sopravvissuta (“per miracolo», dice) al crollo parziale della Chiesa Madre del paese, causato dal disastroso terremoto del 23 novembre 1980, del nono grado della scala Mercalli all’ epicentro. Quella sera nella chiesa di Balvano si stava celebrando la messa: sotto la spinta violentissima dell’onda sismica cedettero il frontone del tempio e parte delle controsoffittature delle navate centrale e laterale; le macerie travolsero i fedeli, morirono 66 persone, la maggior parte delle quali bambini e ragazzi. Antonella, che allora aveva 11 anni, era con loro, c’era anche la sorella Enza, aveva 13 anni. «Facevo parte del coro – racconta – ed ero nei pressi dell’altare. Ricordo solo un sordo boato, poi più nulla, perchè sono svenuta. Quando mi sono riavuta, ho visto un gran trambusto, e, istintivamente, ho provato a fuggire. Ma mi sono resa conto di non riuscire a muovermi. Ero intrappollata con il corpo, e, tuttavia, lucidissima, perchè la testa emergeva dalle macerie. È stato allora che ho visto la morte, in diverse facce: quella che aveva già vinto, avendo preso tante persone, compresa mia sorella; e quella che mi inseguiva, che voleva anche me: come un felino che ha atterrato la preda e che aspetta solo di darle il morso letale. Sei impotente. Sono rimasta in quella condizione per alcune ore, più lunghe dell’eternità. Poi ho sentito urlare, ho visto alcune persone del paese: uno spostava delle tavole di legno, un altro dei pezzi di intonaco, un altro ancora azionava freneticamente una vanga. Mi hanno raggiunta e liberata e sono stata affidata alle cure di un medico». Impossibile, per Alessandra, riferire cosa effettivamente pensò in quei momenti. “Non ti accorgi di nulla, sei nella mani di Dio. È molto di più quel che ti resta: con il tempo pensi e rifletti. E allora metti a fuoco che sei stata strappata alla morte, qualcuno ha scacciato via quel felino che ti aveva atterrato ed era sul punto di ucciderti». L’effetto della tragedia «resta per sempre nell’animo» di un superstite, dice Alessandra. «Nei giorni successivi al terremoto – racconta – ogni rumore, anche minimo, mi gettava nel panico e nell’angoscia. Ora questa sensazione si è un pò attenuata, ma basta poco a spaventarmi. Una sepolta viva, benchè strappata alla morte, non può dimenticare».

di Enzo Quaratino
(ANSA)

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