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L’arbitro fischia l’inizio della gara ma i giocatori giallorossi si buttano giù, a terra, per protesta, tutti e undici mentre quelli del Pomezia abbozzano, si passano la palla e aspettano che quello strano momento passi. Anche l’arbitro aspetta. E’ cominciata così, la giornata al Ceravolo con il gesto eclatante dei calciatori per protesta contro il caos societario. In effetti non può avere senso parlare di sport quando a fine partita, persa 2-0 dai padroni di casa, si sente un calciatore parlare di elemosina per tirare avanti la carretta familiare (vedasi dichiarazioni di Corapi). Non ha senso parlare di sport quando tale sport non diventa fruibile ai suoi appassionati perché la società di casa non ha i soldi per tenere aperte le porte del Ceravolo. Anche contro il Pomezia, il Catanzaro infatti non è esistito; i giocatori erano con la testa altrove, allo sbando. Una società insulsa che continua a fargli mancare di tutto, dall’acqua calda delle docce all’acqua da bere; dai viveri ai beni di prima necessità medica, obbligandoli ad impervi percorsi per continuare a condurre una vita semplicemente dignitosa. Cacciati malamente da molti degli alberghi cittadini per colpa della morosità dell’Fc, rimasti quasi senza pranzo da consumare nei vari locali della zona per i medesimi motivi, i calciatori, riprendendo, tardivamente, quella che era stato una richiesta di una parte della tifoseria che già precedentemente alla gara di Lamezia Terme gli aveva chiesto analogo gesto, hanno deciso di dire basta a tale andazzo.
Insomma, di calcio davvero non se ne può più parlare a Catanzaro, uno stadio deserto e lo stress alle stelle ben manifestato dai giocatori vale tutto. Alla fine il disastro annunciato si è avverato e il bilancio in negativo dei giallorossi sembra non avere mai fine. Adesso la palla passa alla società, a lei il dovere di sbloccare la situazione, anche se le difficoltà impongono il peggio. Purtroppo anche questo è il calcio moderno e il futuro di certo non sarà roseo neanche con una nuova cordata.

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