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Uno ucciso con una raffica di proiettili dopo che il suo motocarro era stato speronato, l’altro con due fucilate (la pistola del secondo sicario si inceppò), il terzo con colpi di pistola (il cadavere bruciato e smembrato): su questi tre omicidi – fra il 2002 e il 2007 nel Melfese, in una guerra fra clan – si sono concentrati per anni Polizia e Carabinieri che ieri hanno arrestato cinque persone, accusate anche dai racconti di un collaboratore di giustizia. L’operazione è stata chiamata «Gattopardo»: nel luglio 2007 Marco Ugo Cassotta, di solito molto prudente, esce in auto con Alessandro D’Amato. È proprio quest’ultimo che gli spara, nelle campagne di Melfi (Potenza), perchè ha deciso di passare dal clan dei Cassotta a quello dei Delli Gatti e l’omicidio è il suo biglietto d’ingresso. L’incendio del cadavere e il suo smembramento un dettaglio macabro. Il «gattopardo» è lui, cambiare clan per lasciare tutto immutato. Ed è stato proprio D’Amato a raccontare agli investigatori particolari che si sono rivelati «importantissimi» – ha detto ieri il Procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Potenza, Giovanni Colangelo – per far luce sui tre omicidi e arrestare i cinque presunti responsabili. D’Amato ha fatto ritrovare armi e bossoli di due omicidi e ha spiegato le modalità dell’esecuzione di Rocco Delli Gatti, a Melfi, nell’ottobre 2002. Delli Gatti viaggiava su un motocarro: un’auto, con a bordo D’Amato, lo sperona e lo spinge fuori strada, il boss finisce sotto una pioggia di proiettili e muore. D’Amato risale sull’auto, che si allontana di qualche chilometro, dove sarà ritrovata: bruciata. La guidava Dario D’Amato, fratello di Alessandro, arrestato a Torino. Gli altri quattro arrestati oggi sono Angelo Di Muro, Gerardo Caprarella (padre di un consigliere comunale vicino al consigliere regionale Ernesto Navazio e Michele Morelli, presi nel Potentino; e Nicola Lovisco, catturato nei dintorni di Pisa. D’Amato ha raccontato di essere stato anche sulla scena del delitto di Domenico Petrilli, nel febbraio 2003. Morelli gli spara con un fucile, D’Amato vuole sparare con una pistola, che però s’inceppa. Le fucilate sono state sufficienti. I carabinieri e gli investigatori della sezione criminalità organizzata della squadra mobile di Potenza, all’epoca di ogni delitto, hanno raccolto alcuni elementi: altri li ha forniti di recente proprio Alessandro D’Amato. Ad esempio, ha spiegato le modalità dello speronamento del motocarro di Delli Gatti e dove lo colpì sparandogli: «Abbiamo trovato i riscontri», ha detto Colangelo, riferendosi ai graffi e alle ammaccature rilevate sulla carrozzeria del motocarro (e agli squarci sul cadavere del boss). Tre delitti chiariti, quindi, e un duplice delitto vicino alla soluzione. È quello dei coniugi Giuseppe Gianfredi e Patrizia Santarsiero, uccisi in auto la sera del 29 aprile 1997 in un quartiere residenziale di Potenza: fucilate da breve distanza, non importa se sul sedile posteriore dell’auto ci sono i due figli della coppia (che rimasero illesi). Il pm della Dda, Francesco Basentini, oltre ai cinque arresti ottenuti dal gip, Gerardina Romaniello, ne aveva chiesto almeno un altro, quello del responsabile del duplice delitto dei coniugi. Richiesta non accolta perchè gli atti relativi all’omicidio della coppia devono essere trasferiti alla Procura della Repubblica di Salerno, che ha indagato sul fatto per anni, dopo il coinvolgimento della vicenda (poi escluso) di un magistrato in servizio a Potenza. Ma la svolta, superato un confronto tecnico-procedurale, non è lontana. Anche il delitto Gianfredi non è piu’ una leggenda urbana. Sul Quotidiano in edicola oggi sei pagine dense di nomi, fatti e retroscena

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