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di ANGELO MAURO CALZA “Continuerò a sollecitare la continuità della vita istituzionale e dunque di una legislatura”. Questa la dichiarazione del Presidente Giorgio Napolitano in occasione del discorso di fine anno al Quirinale alla presenza delle maggiori cariche istituzionali. Dichiarazione che lascia ampiamente intendere il ruolo di super partes nelle diatribe politiche e parlamentari da parte del Presidente, in favore, in estrema sintesi, dell’interesse necessario supremo dello Stato ad avere stabilità governativa, soprattutto oggi, per fronteggiare innanzitutto il momento di difficoltà economica che non sta certamente risparmiando l’Italia dopo aver colpito duramente Grecia e Irlanda. Un discorso da vero e buon Capo di Stato, autorevole, equilibrato, che antepone gli interessi della Nazione alle beghe politiche o, meglio, partitiche. Non come Sandro Pertini (che probabilmente sarebbe arrivato ai rimproveri severi), certo, ma un buon Capo di Stato. Tanto premesso, fatta salva la bontà del Presidente e della dichiarazione, qualche dubbio mi sorge all’interno di un ragionamento che ci riporta alle miserie terrene delle vicende parlamentari degli ultimi mesi. Si parte dalla scorsa estate, quando iniziarono le prime schermaglie tra il Presidente della Camera e il Presidente del Consiglio. Nei mesi che ci hanno separato dallo scorso luglio e fino al 14 dicembre le schermaglie son diventate prima guerriglia e poi conflitto insanabile tutto interno alla maggioranza. Da parte del Pdl, nonostante il disimpegno (conclamato e poi realizzato con il voto di sfiducia) dei finiani, Berlusconi continuava a dirsi sicuro (come poi è accaduto) di ricevere la fiducia sia pure sul filo di lana, e comunque – laddove non fosse riuscito – ostentava la convinzione di rivincere eventuali nuove elezioni, ancora da leader. Sventolando a destra e a manca un 56% di consensi che gli davano i sondaggi. Dall’altro versante l’opposizione coglieva la palla al balzo per schierarsi al fianco di Fini, nel tentativo di riuscire a mandare a casa l’attuale maggioranza con la conseguente chiamata alle urne dicendosi convinta di ottenere la guida del Paese. Unico problema: Il centrodestra avrebbe continuato a presentare come leader Silvio Berlusconi, per il nascente Terzo Polo la leadership poteva essere incarnata da Fini o tutt’al più da Casini, mentre per il centrosinistra risultava impossibile individuare con certezza un nome dalla stessa forza di fuoco da contrapporre ragionevolmente a quelli delle altre coalizioni. In questo senso e in un certo senso il centrosinistra si è visto togliere le castagne dal fuoco proprio dall’esito del voto di fiducia della Camera dei Deputati. Nei giorni che hanno seguito il il 14 dicembre è risultato evidente che in caso di elezioni il vincitore sarebbe stato quasi sicuramente ancora Berlusconi, nel bene e nel male ancora capace di aggregare e far convergere intorno alla sua persona forze politiche e voti sufficienti a battere numericamente Terzo Polo e centrosinistra che si danneggerebbero a vicenda spartendosi i restanti consensi. Sic stantibus rebus, cui prodest? A chi conviene modificare allora l’attuale assetto politico e parlamentare? A Berlusconi no di certo, ci mancherebbe. Ai finiani nemmeno: perché perdere la Presidenza della Camera dei Deputati e tentare alleanze frettolose con Udc e Api? Al centrosinistra ancora di più: come si fa a chiedere elezioni che poi farebbero registrare una sconfitta perché ancora non si è riusciti ad individuare il vero leader da contrapporre a Berlusconi, con Bersani in difficoltà e Vendola che preme per dare una svolta concreta alla politica evanescente sinora praticata dal Pd? E allora “meglio temporeggiare – hanno pensato tutti gli anti Berlusconi – ma come si fa a spiegare agli italiani il perché all’improvviso battiamo in ritirata dopo aver fomentato e voluto una guerra?” Ecco allora l’intercessione di Napolitano: la sua dichiarazione diventa un invito, tutti lo raccolgono e “per il bene della nazione” si esce a testa alta da una situazione di ambiguità scomoda per tutti, ci si tura il naso e si lascia governare Berlusconi. Se questo è, per gli oppositori si è trattato se non di una vittoria, di una resa con tutti gli onori, mentre Berlusconi continua ad essere il Premier (con un occhio al Quirinale) e il Presidente Napolitano ha assolto appieno il suo compito di mediatore e paciere equilibrato per il bene del Paese.

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