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POTENZA – All’inizio erano sedici miliardi delle vecchie lire «giusta graduatoria approvata» per un programma di investimenti nell’area industriale con i fondi del Bando della Val Basento nel 2001. Soldi che sarebbero stati stanziati in via definitiva nel 2006, quindi sottratti ad altre iniziative considerate meno attraenti. Dieci anni dopo è tutto fermo. Nè un posto di lavoro nè un unità di prodotto finito. L’idea era quella di rigenerare olii minerali esausti, un’attività ad alto impatto ambientale, lo capisce anche un bambino, ma il progetto offriva tutte le garanzie previste. Altrimenti come si spiegano le firme di funzionari e amministratori? I problemi sono arrivati dopo, quando Regione ed enti locali si sono confrontati carte alle mano.

Da quel momento è iniziata una vicenda su cui spetta alla procura di Potenza fare chiarezza. La denuncia è partita da un terzetto di attivisti dell’ambiente: Anna Maria Dubla presidente dell’Associazione ambiente e legalità di Ferrandina; il segretario del Partito della rifondazione comunista; e Michele Somma coordinatore di Comunità lucana – Movimento No Oil. Sono riusciti a mettere le mani sugli atti della giunta regionale e dei vari uffici coinvolti, e hanno scovato almeno otto gravi anomalie finite all’attenzione del pm Salvatore Colella del mini-pool specializzato nei reati contro l’ambiente (l’altro magistrato che se ne occupa a Potenza è il pm Sergio Marotta.ndr).

Per prima una strana questione di competenze: perchè sembra che la delibera che da ultimo (maggio 2009) ha autorizzato la costruzione dell’impianto sia stata preparata dall’ufficio sbagliato.
Quindi indietro al tavolo tra uffici, amministrazioni ed enti locali di due anni prima (settembre 2007), convocato quando mancava ancora un progetto definitivo, mentre in un’altra occasione (novembre 2008) un funzionario del dipartimento ambiente avrebbe ben pensato di anticipare il risultato di un’istruttoria in corso prima di sentire le parti interessate. Bisognava verificare il rispetto di una serie di prescrizioni e acquisire per iscritto il parere del comune di Ferrandina sulle emissioni in atmosfera.

Ma in quella stessa riunione il rappresentante del paese su cui insiste l’area designata per l’impianto in questione si sarebbe alzato per dire il proprio “sì”, quasi ad occhi chiusi, senza aver fatto un minimo d’indagini a riguardo.
A gennaio del 2009 è arrivata l’approvazione del progetto, quando sarebbe stato scaduto da più di sette mesi il parere di idoneità suimezzi di trasporto della materia prima, e lo stoccaggio della merce. A maggior ragione perchè sul punto l’Arpab avrebbe fatto rilevare che il progetto era stato modificato in maniera sostanziale negando il proprio assenso per questo e per i motivi di sopra, denunciando un falso documentato.

Poi c’è la relazione di un consulente incaricato dalla stessa giunta regionale, il professore Vincenzo Tufano, chimico dell’Università di Napoli e della Basilicata. Una mazzata più che una bocciatura, che evidenzia errori, rischi per l’ambiente e la salute dei lavoratori, e il sospetto che la controparte Ecoil abbia spiato il suo lavoro, riuscendo ad accedere alla relazione preliminare, che era destinata ad «uso interno», per predisporre in tempo reale le modifiche al progetto sotto esame. Tufano fa le pulci a tutto il ciclo economico immaginato, e scopre che non esistono margini di profitto. «L’impianto proposto lavorerà – se lavorerà.ndr – in perdita perchè troppo piccolo». Una piccola cattedrale nel deserto. Ma non solo. Il professore parla di «enorme (forse eccessiva) disponibilità mostrata dalla Regione».

A proposito della trasformazione della concessione provvissoria di un contributo a fondo perduto di sedici miliardi delle vecchie in uno stanziamento definitivo di otto milioni e mezzo di euro parla dell’esibizione di «una volontà politica ben precisa». «Cultura del perdono» contro «cultura della responsabilità che andrebbe applicata in circostanze come questa». Per questo chiede «che rimanga agli atti a futura memoria il suo parere personale, che sarebbe quello di evitare alla Basilicata la costruzione di un impianto che sarà poco utile al territorio e che verrà presumibilmente costruito e gestito da persone alle quali non si sente di concedere la sua fiducia».

Infine i voltafaccia dell’Agenzia regionale protezione per l’ambiente (Arpab). Dopo le censure del 2008 ci sarebbe stata una «piccata» corrispondenza con l’ufficio regionale che si stava occupando del caso (quello che sarebbe stato incompetente), forse perchè qualcuno è stato punto sul vivo forse perchè qualcuno ha la coda di paglia. Senza mai scendere nel merito delle questioni sollevate.
E l’anno dopo la retromarcia dell’Arpab con l’espressione di un parere favorevole ma condizionato, in cui da un lato si rimanda alle valutazioni precedenti e alle denunce del professor Tufano, e dall’altro si acconsente al progetto dell’impianto Ecoil senza dare troppe spiegazioni. Questo è quanto.

Leo Amato

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