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POTENZA – Con una  legge del 1998 (la numero 29) la Regione Basilicata, nell’ambito del metodo di programmazione, sancito nel suo  statuto del 1970, decise di procedere per piani di politiche del lavoro, coerenti col programma regionale di sviluppo. Come si vede ragioniamo quasi per ere geologiche, eppure non disponiamo a tutt’oggi  né di un piano di sviluppo, né di un piano del lavoro, ma di ripetitive quanto inefficaci liste della spesa.

Perché non si è varato finora tale strumento, nonostante si sia in una fase a dir poco drammatica in materia di disoccupazione?

Dare una risposta non è semplice. Non si può dire che in materia si sia stati in passato con le mani in mano: L’ente lavoro di Basilicata ha predisposto più bozze di piano che ha passato alla Regione Basilicata che a sua volta ha provveduto velocemente a conservare nei suoi capaci cassetti, la stessa Regione ne ha elaborato in proprio altre due, rispettivamente con gli assessori pro tempore Autilio e Viti, lo stesso sindacato ha predisposto il suo, disponiamo inoltre  di una caterva di documenti a supporto delle varie problematiche  in questione, predisposti da una molteplicità di enti, come l’Unioncamere, la svimez, L’istat, la Banca d’Italia.

Perché tutto questo lavorio non è approdato ad un piano organico, ma si è preferito procedere per spezzoni disarticolati di interventi, come l’utilizzo come spesa corrente delle royalties del petrolio, il piano decennale di forestazione, i finanziamenti fini a se stessi per la mobilità in deroga, i bandi per la formazione (un ponte per lì occupazione è un caso di scuola), l’avvio del provvedimento denominato “garanzia giovani “ in questi giorni in discussione alla regione, ennesimo palliativo in assenza di una ripresa della economia, il  varo delle nuove misure per l’apprendistato, il disegno di legge sul sommerso e così via?

La risposta va ricercata nei comportamenti degli addetti ai lavori (politici, burocrati, sindacati, associazioni datoriali), ai quali è possibili attribuire le seguenti  gravi insufficienze: 1°, la scarsa capacità culturale nel cimentarsi col metodo programmatorio,  2° , il  metodo concertativo usato nelle loro relazioni, ritenendo più utile negoziare, trattare volta per volta le proprie rendite di posizione, in molto casi di natura prettamente assistenziale, più che darsi e sostenere una visione complessiva dello sviluppo,  3°, il rifiuto sistematico di sottoporre a monitoraggio e valutazione le politiche fin qui realizzate, che sono la premessa di qualsiasi piano, perché consci della loro chiara inefficacia, per usare un eufemismo.

Le cause della cattivo rapporto tra fondi spesi e risultati conseguiti in materia di politiche attive e passive del lavoro vanno ricercate soprattutto nelle questioni prima accennate. 

Se il Pil regionale registra crolli verticali recenti, sulla scia di andamenti stagnanti di lungo periodo, è di tutta evidenza che si è avanti ad una cattiva utilizzazione delle risorse impiegate. 

Vale anche per la Basilicata ciò che ha fatto notare di recente l’economista Nicola Rossi, secondo cui siamo subissati  da “ misure urgenti e meno urgenti, misure regionali e nazionali, misure negoziate o automatiche, misure selettive e meno selettive, misure che però alla fine non misurano nulla, se non la pochezza delle classi dirigenti meridionali che si ostinano a pensare di “poter comprare” l’occupazione spendendo un po’ di euro, preferibilmente europei”.   

L’ente regione potrebbe essere decisivo per creare condizioni generali per uscire dalla crisi epocale che ci sta distruggendo  ed il piano del lavoro potrebbe essere  un utile strumento in questa direzione, ponendo come questione centrale i bisogni collettivi che l’economia di mercato non ritiene appetibili, soprattutto in materia ambientale.

Certo si tratterebbe  per  le rappresentanze istituzionali di  mettere in discussione  quanto fatto finora e di accantonare i tanti parziali interessi precostituiti, operazioni queste non agevoli per una classe dirigente che soltanto a parole  dice di voler cambiare. 

In realtà, il piano del lavoro nessuno lo vuole. Molto meglio tenersi le mani libere, anche se alquanto sporche.

 

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