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La diga del Pertusillo

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POTENZA – Non esiste «evidenza» dell’utilizzo di tensioattivi come quelli ritrovati nella diga del Pertusillo, in un quantitativo superiore al limite fissato per le acque di qualità superiore, da parte di Eni, che estrae petrolio e gas poco più a monte. «Né nelle operazioni di bonifica a seguito dello spill (perdita di greggio, ndr) del 2017, di fatto non ancora avviate (l’area è interessata da attività che rientrano nella messa in sicurezza di emergenza), né nell’esecuzione di altre operazioni».

A metterlo nero su bianco nei giorni scorsi è stata l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Basilicata, replicando a un’interrogazione del consigliere regionale del Movimento 5 stelle Gianni Perrino.

A fare emergere il caso dei tensioattivi in eccesso nelle acque dell’invaso valdagrino era stata un’altra interrogazione presentata, nei mesi scorsi, dallo stesso Perrino, sulle ragioni per cui Arpab aveva deciso di declassarle dal livello A2 al livello A3, che è il più basso della scala per le risorse idriche destinate al consumo umano.

Replicando a quell’interrogazione, infatti, Arpab aveva evidenziato le anomalie riscontrate in 3 dei 12 campioni di acque del Pertusillo analizzati nel 2022, rispetto alla presenza di «tensioattivi anionici», tra gli elementi fondamentali di saponi e detergenti di vario tipo. Di qui l’ulteriore interrogazione del consigliere pentastellato che aveva chiesto di sapere, tra l’altro, «se le aziende che estraggono greggio nell’area della Val d’Agri o gli enti preposti alla gestione dell’invaso del Pertusillo utilizzano biotensioattivi rispettivamente nelle operazioni di bonifica in corso dal 2017 nell’area del Cova (Centro olio Val d’Agri, ndr) di Viggiano o nelle eventuali operazioni di pre-potabilizzazione dell’acqua prelevata per il consumo umano e l’irrigazione».

Nella sua replica Arpab ha segnalato ulteriori «superamenti» a gennaio di quest’anno per il paramentro dei «tensioattivi anionici». Inoltre ha spiegato che vanno avanti «le attività finalizzate alla valutazione della proliferazione algale» che dallo scorso inverno viene monitorata da vicino.

Dopo l’allarme lanciato dall’associazione ambientalista Cova contro su una possibile correlazione con la dispersione di idrocarburi all’interno dell’invaso che ogni giorno riforniscono i rubinetti di circa 2 milioni di cittadini di Basilicata e Puglia e gli impianti di irrigazione di 35mila ettari di terreni agricoli a cavallo tra le due regioni.

Oltre ad escludere «evidenze» sull’utilizzo di «tensioattivi anionici» da parte di Eni, Arpab non ha aggiunto alcunché sulla loro possibile provenienza. Sebbene la loro natura lascerebbe pensare alla possibilità di una fonte non necessariamente industriale di contaminazione.

In seguito al declassamento delle acque del Pertusillo, Acquedotto lucano e Acquedotto pugliese, che si riforniscono dall’invaso, sono stati obbligati a modificare il trattamento fisico e chimico necessario per la loro potabilizzazione, oltre alla classica «disinfezione, portandolo da «normale» a «spinto».

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