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NON vuole sentirsi chiamare “genio” e, per lui, nel lavoro, è fondamentale il suo team di cui va orgoglioso, mentre, nella vita, al primo posto c’è la famiglia in cui trova la necessaria serenità. Per tracciare un profilo di Benedetto Vigna, il lucano che da mercoledì primo settembre sarà il nuovo amministratore delegato della Ferrari, non si può prescindere da questi presupposti.

La sua storia professionale è ormai nota a tutti, l’avevamo raccontata nel giorno in cui era stato diramato il comunicato che lo indicava quale prossimo ceo della casa di Maranello: 52 anni, laureato con lode in fisica all’Università di Pisa, proviene da STMicroelectronics, dove è responsabile del Gruppo Analogici, Me (Micro-electromechanical Systems) e Sensori, il più grande e remunerativo business operativo di ST nel 2020. Ha fondato le attività Mems della società e ha lavorato per conquistare la leadership di ST nel mercato delle interfacce utente, attivate dal movimento.

Ha inoltre guidato una serie di iniziative di successo in nuove aree di business, con un focus particolare nei segmenti del mercato industriale e automotive. È titolare di oltre cento brevetti e, tra questi, figura un sensore di movimento tridimensionale che è stato inizialmente applicato agli airbag delle automobili e, dopo averne ridotto dimensioni e costi, è stato utilizzato nei comandi senza filo della console “Nintendo Wii”. Per questa invenzione Vigna è stato inserito nella rosa dei dodici candidati al premio “Inventore europeo 2010”, promosso dall’Organizzazione europea dei brevetti.


Ha lasciato Pietrapertosa dopo il liceo, il “Galileo Galilei” di Potenza – nel capoluogo vive sua sorella Chiara – e, dopo aver ultimato gli studi universitari, ha iniziato un percorso straordinario. Ciò che probabilmente si ignora di lui sono l’umiltà e la semplicità: prerogative emerse in modo chiaro ed evidente durante l’intervista che ci ha concesso. Ma c’è un altro aspetto che lo contraddistingue: ovvero il profondo legame con il suo paese natale e in cui vivono i suoi genitori, Pietrapertosa, e con la sua terra, la Basilicata.


Come mai, un laureato in fisica subnucleare come lei, si è distinto così tanto a livello mondiale nelle nano-tecnologie e semiconduttori?
«Ognuno di noi sceglie di studiare ciò che più gli piace, l’importante è sviluppare la capacità di porsi delle domande sul perché delle cose. La facoltà che ho scelto mi ha dato proprio questa capacità e, in realtà, ha molti nessi con l’industria dell’automobile poiché i semiconduttori rappresentano sempre di più il cuore, il cervello ed anche i muscoli delle auto».


C’è un brevetto cui si sente più legato?
«Ciò di cui vado fiero non sono tanto i brevetti, che servono solo se applicati, ma è la dimensione del business che ho sviluppato assieme al team, di cui sono e sarò sempre orgoglioso. Ed è proprio grazie al team che, partendo da zero, sono stati sviluppati quasi tutti i brevetti».


Ha un’idea di quanti posti di lavoro sia riuscito a creare?
«Onestamente non ricordo quanti siano, ma siamo nell’ordine di qualche migliaio perché, accanto agli addetti diretti, c’è anche l’indotto rappresentato dalle tante società, essenzialmente del nord-Italia, ma non solo, che ci hanno consentito di industrializzare i prodotti che abbiamo concepito».


Tra poco sarà al vertice del marchio automobilistico può prestigioso al mondo: sente la responsabilità?

«Decisamente. Sento la responsabilità di fare in modo che questa realtà continui ad eccellere e di proseguire nella valorizzazione del lavoro di tanti uomini, e donne, che ne fanno parte e dell’indotto».


Sua sorella Chiara pensa che il segreto del suo successo sia rappresentato anche da sua moglie, dalla sua famiglia, dai suoi genitori e anche da lei stessa. Condivide?
«Il ruolo della famiglia, sia di quella d’origine che di quella che una persona costruisce, è fondamentale perché il lavoro è importante ma non è tutto. Spesso, oggi, ci sono situazioni di esaurimento poiché, se ci si concentra troppo sulla dimensione lavorativa dimenticando quella umana, anche lo stesso lavoro perde di interesse e, quando è fatto di passione, allora non ti consente di raggiungere particolari risultati. Per cui, ritengo che la famiglia sia importante anche perché, per lavorare e pensare, sono necessari supporto e serenità».


A proposito di famiglia, lei torna sempre in Basilicata: il legame con la sua regione e con il suo paese natale è ancora molto forte?
«Sì, torno una volta l’anno per venire a trovare i miei genitori, mia sorella, gli amici e per venire a rilassarmi».


Cosa si porta dietro della sua infanzia a Pietrapertosa?
«Fondamentalmente due cose: la prima è la capacità di aver a che fare con persone diverse, che poi, ovviamente, si sviluppa anche con i viaggi che consentono di confrontarsi con culture diverse. E, la seconda, è il legame con quanto di più importante ci sia nella vita. Spesso si è indotti a credere che le cose più apprezzabili siano anche le più complesse, mentre, al contrario, a mio avviso ciò che riveste più importanza sono le cose più semplici ed i valori fondamentali».

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