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POTENZA – L’omicidio a Rapolla di Pasquale Grosso, considerato «un esponente del clan Di Muro – Delli Gatti», lascia «spazi di riflessione su una presunta rivalità interna tra soggetti dello stesso sodalizio», uscito vincitore dalla faida esplosa nei primi anni duemila sulle pendici del Vulture. Ma è ancora il materano «l’area più esposta a nuovi fermenti» criminali in regione. Inoltre la crisi economica causata dalla pandemia: «potrebbe avere ripercussioni sul tessuto economico imprenditoriale con un conseguente rischio di contaminazione dei diversi settori commerciali».


Sono questi alcuni degli elementi che emergono dalla relazione della Direzione investigativa antimafia (Dia), appena presentata al Senato, sulle attività di contrasto alla criminalità organizzata realizzate nel secondo semestre del 2020.
La Basilicata «continua a caratterizzarsi – è scritto nel documento – per la presenza di sodalizi a connotazione familiare» che risentono, a causa della collocazione geografica della regione, dell’operatività della criminalità campana, pugliese e calabrese, soprattutto per quel che riguarda lo spaccio di droga.


L’analisi della Dia ha ripreso i punti salienti del discorso pronunciato dal procuratore generale di Potenza, Armando D’Alterio, lo scorso 30 gennaio, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Inclusa la fotografia della situazione nel Vulture, dove i clan: «dopo anni di sanguinose guerre di mafia, sono ora legati a camorra, ‘ndrangheta (specialmente quella cosentina), e alle mafie pugliesi (…) dediti per lo più ad attività di riciclaggio e reinvestimento». Così come nel metapontino dove le mafie eserciterebbero: «un controllo monopolistico di attività imprenditoriali di rilievo centrale nell’economia locale (produzione e commercio di ortofrutta, turismo, attività edilizie, principalmente), condizionando le amministrazioni locali e svolgendo imponenti attività di riciclaggio anche in collegamento con le mafie presenti nei distretti viciniori».
Gli investigatori dell’antimafia hanno evidenziato, poi, quanto emerso dall’inchiesta che a gennaio 2021 ha portato all’arresto, nell’ambito di un inchiesta della Dda di Reggio Calabria, di 3 policoresi. Vale a dire: il 53enne Salvatore Scarcia, considerato il boss dell’omonimo clan; il 41enne Giuseppe Spada; e il 31 enne Domenico Marino. Tutti e tre di Policoro.


METAPONTINO PERTINENZA DELLE ‘NDRINE
Dalle indagini sul clan ‘ndranghetista dei Pisano di Rosarno, soprannominati i “diavoli”, infatti, sarebbe emerso come fossero riusciti «a reclutare e organizzare in Basilicata la criminalità locale come un vero e proprio clan di ‘ndrangheta, cui aveva affidato il compito di gestire lo smercio di droga». Il tutto: «in ragione di un legame con il territorio lucano risalente già agli anni ‘80 e ‘90 quando alcuni elementi erano stati confinati proprio a Policoro “dove avevano continuato a delinquere, stringendo dei legami con esponenti della criminalità organizzata locale”». Confermando l’immagine di una regione «crocevia degli affari della ‘ndrangheta» e del metapontino «come un territorio considerato una vera e propria area di pertinenza di alcune ‘ndrine calabresi».


GLI EFFETTI DELLA PANDEMIA
La Dia ha messo in rapporto agli effetti della pandemia sul tessuto economico della regione, «i molteplici attentati e intimidazioni praticati da gruppi criminali che mirerebbero ad acquisire attività imprenditoriali soprattutto agroalimentari, edilizie e del turismo specialmente nell’area del Vulture-melfese, nel materano e lungo il litorale jonico».


L’AREA GRIGIA
Ma vengono giudicati «significativi» anche «taluni atti intimidatori in danno di rappresentanti delle istituzioni e delle amministrazioni pubbliche perpetrati anche con l’utilizzo di ordigni rudimentali». Mentre «la crescita dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia ambientale» confermerebbe «l’espansione di quell’area grigia in cui si muovono amministratori locali, pubblici ufficiali e professionisti compiacenti».
Condotte «sintomatiche di un costume di asservimento di interessi pubblici al malaffare privato», per riprendere ancora una volta le parole di D’Alterio.
L’Antimafia non dimentica quanto emerso indagando sull’erogazione di fondi in agricoltura, così come sullo sfruttamento del “lavoro nero” nei campi.


GLI ASSETTI SUL TERRITORIO
Quanto agli assetti criminali sul territorio, la relazione conferma l’operatività del clan Martorano-Stefanutti nel potentino, insidiato dal clan Riviezzi di Pignola, che avrebbe assunto sempre più un ruolo centrale nelle dinamiche criminali. Grazie «alla spiccata capacità di proselitismo e reclutamento risultata rafforzata dallo stato di libertà di uno dei suoi esponenti di spicco».


IL VULTURE
In evoluzione anche la situazione nel Vulture-Melfese dove «dopo anni di sanguinose faide», sarebbero emersi rapporti di collaborazione tra gli esponenti dei clan Cassotta e Di Muro-Delli Gatti, che però parrebbe minacciato al suo interno dopo l’omicidio di Grosso. Lo stesso Grosso che nel 2003 era stata dichiarato colpevole per l’omicidio di Pasquale Acucella, che gli investigatori definiscono: «un imprenditore legato allo stesso clan Di Muro -Delli Gatti, coinvolto nel 1997 nell’inchiesta “Penelope” (1997), per associazione di tipo mafioso finalizzata al traffico di stupefacenti, reati concernenti armi ed esplosivi, rapine ed altro».
Inoltre, a Melfi e dintorni, resterebbero attivi i gruppi Barbetta e Gaudiosi. Mentre a Venosa il gruppo Martucci si sabbe confermato monopolista del traffico di droga.


IL METAPONTINO
Sotto stretta osservazione, infine, il materano, dove «lo scompaginamento di alcuni clan potrebbe costituire un incentivo per le mire espansionistiche e i tentativi di scalata di alcune figure che per i legami con gli storici sodalizi locali o comunque forti di un personale carisma criminale hanno intrapreso azioni volte ad ampliare il controllo delle attività illecite nel territorio».
La relazione evidenzia come nell’area: «continuano a verificarsi reati contro il patrimonio ed episodi di intimidazioni e minacce che rappresentano un sintomatico campanello d’allarme che sembra sottendere forme insidiose di estorsione in pregiudizio di titolari di attività commerciali e imprenditori agricoli».
Per evidenziare «grado di contaminazione del locale contesto socio economico», infine, la Dia prende ad esempio «le interdittive antimafia emesse nel semestre dal Prefetto di Matera». «In tale contesto – spiegano gli investigatori – sono di interesse i provvedimenti di cancellazione dalla white list che hanno riguardato aziende del settore edile e delle pulizie le cui compagini sono risultate contigue a sodalizi della fascia jonica e segnatamente al clan Schettino (di Scanzano Jonico, ndr)». Dalle indagini, infatti, sarebbe emersa «la presenza fra le maestranze di personaggi legati al gruppo Donadio di Montalbano Jonico».


Quanto al traffico di droga, l’Antimafia sottolinea in particolare i risultati dell’indagine che ha colpito un’associazione per delinquere attiva sull’asse Albania-Metapontino, che avrebbe fatto riferimento al presunto clan Russo, di Tursi, e di quella che ha preso di mira gli affari del gruppo capeggiato da Angelo Raffaele Calvello, a Stigliano. Un gruppo che si sarebbe esteso progressivamente sul territorio del capoluogo e sulla fascia jonica, entrando anche in confitto con gli scanzanesi del clan Schettino.

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