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Il governatore lucano Marcello Pittella

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I giudici hanno detto no alla liberazione del governatore, ai domiciliari da luglio: può ancora abusare della sua influenza nella pubblica amministrazione

POTENZA – L’autorevolezza e il potere conseguito dal presidente della giunta regionale Marcello Pittella «dopo anni di militanza nel Partito Democratico», con «amicizie, conoscenze e appoggi in bacini elettorali non solo regionali», gli hanno consentito «di “governare” procedure amministrative, conducendole secondo i suoi desiderata, senza esporsi in prima persona, ma profittando di personaggi-satelliti mossi con i fili sottilissimi ma tenaci della promessa di avanzamenti di carriera o di benefici vari». Al punto che il «carisma politico ed istituzionale veniva percepito in modo distorto dai suoi funzionari maggiormente fidelizzati, che, infatti, riconoscevano in lui il “gerarca” da cui ottenere l’imprimatur del loro lavoro».
C’è la conferma delle accuse e la sottolineatura dei rischi di reiterazione dei reati e di inquinamento probatorio nelle motivazioni con cui il Riesame ha giustificato il suo no al ritorno in libertà di Pittella, ai domiciliari dal 6 luglio nell’ambito dell’inchiesta su concorsi truccati, corruttele e mala amministrazione nella sanità lucana.  
L’ordinanza, su cui i legali del governatore hanno già annunciato ricorso in Cassazione, evidenzia che «Pittella, durante l’espletamento del suo mandato presso la Regione Basilicata, ha avuto la possibilità, sapientemente sfruttata, come dimostra la sua personalità sensibile alle relazioni di interesse, di coagulare intorno a sé un’aura di potere, che ora appare solo parzialmente scalfita dal suo allontanamento dal vertice della Regione, ben potendo l’indagato contare su nuovi incarichi nel partito o in settori comunque di influenza che gli darebbero rinnovate occasioni di inserirsi, seppur in modo indiretto, in ambienti amministrativi con potenzialità significative di distorsione dei pubblici apparati, come è accaduto nelle vicende che qui ora interessano».
Per il presidente del Riesame, Aldo Gubitosi, che è anche l’estensore della decisione, è quindi «altamente probabile» che Pittella, «se non sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, possa entrare in contatto con persone a lui ancora vicine, che, contando su un ritorno in termini di benefici personali, potrebbero indursi ad assecondare il suo volere e, abusando dei poteri esercitati nella pubblica amministrazione (…) manipolare procedure, condizionare e invadere illecitamente settori pubblici con interessi di rilievo, creare connivenze e partecipazioni soggettive in modo da conseguire risultati illeciti analoghi a quelli rivelati dalle indagini in corso».
In questo senso, tra le persone condizionabili, Gubitosi indica gli ex vertici dell’Azienda sanitaria di Matera, Pietro Quinto e Maria Benedetto, entrambi a loro olta agli arresti domiciliari e già dimessisi dagli incarichi, ma anche il direttore generale in carica del Crob di Rionero, Giovanni Bochicchio, indagato a piede libero.   
Per il Tribunale del riesame nell’Asm si sarebbe sviluppato un «sistema di accrescimento dellavisibilità e del potere personale» che ruotava attorno ai favori elargiti e alle relazioni intessute da Quinto, in cui «si era inserito perfettamente Pittella, i cui interessi erano con ogni probabilità legati alla ricerca di bacini elettorali dai quali attingere appoggio e consenso in vista di futuri incarichi politici e istituzionali».
«A tal fine – spiegano i magistrati -, aveva individuato i settori ed i personaggi in grado di fornirgli le necessarie spinte propagandistiche, propedeutiche alla formazione del gradimento sociale (…) Da una parte, la politica “deviata” con il suo know how tentacolare che si insinua, con strumenti illeciti, nel tessuto sociale, a sua volta, culturalmente e moralmente piegato alla logica del clientelismo; dall’altra, un gruppo di pubblici funzionari alla ricerca di visibilità e potere, orientati nelle loro scelte istituzionali da becera avidita personale, pronti a svendere le loro prerogative in cambio di “sistemazioni” privatistiche per se ed i propri familiari».
I giudici parlano di «un quadro sociale degradato in modo incisivo», con «interessi distorti di ampi settori della vita pubblica, dalla politica alla Chiesa, per i quali la prassi della raccomandazione sembra avere assunto il crisma della legalità a discapito del pubblico interesse per l’efficienza e l’imparzialità degli apparati amministrativi».
Quanto alle accuse nei confronti del governatore, che risponde di abuso d’ufficio e falso per due dei presunti concorsi truccati, il Riesame cita un «patto di solidarietà» stretto da Pittella, Quinto e dalla Benedetto, per cui «non si limitavano a fornire e ricevere una mera “indicazione” asettica su candidati meritevoli di superare le prove selettive dei concorsi (…) ma agivano di comune accordo, preparando e coordinando le modalita delle prove stesse, per adattare il loro risultato ai desiderata del raccomandante, pur quando la preparazione dei raccomandati era pessima».
«In questa struttura affaristica – insistono i magistrati – si inserivano, con assoluta naturalezza, alti prelati e uomini degli apparati pubblici istituzioni». Quindi cita i casi del Questore di Matera, Paolo Sirna, del deputato Gaetano Piepoli, del segretario del Vescovo di Matera, don Angelo Gallitelli, ed il vice-ministro Bubbico «per interposta persona».
Sotto l’aspetto delle esigenze cautelari il Riesame non ha raccolto, infine, nemmeno le censure dei legali del governatore sui rischi prospettati dal gip rispetto all’annunciata ricandidatura in Regione di Pittella, «elemento questo ritenuto incerto» dagli stessi avvocati.

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