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POTENZA – La giustizia in Basilicata è evidente in difficoltà, soprattutto per il numero dei processi che si sono accumulati nella sezione civile della Corte d’appello di Potenza. Eppure al Consiglio superiore della magistratura non paiono dare troppo ascolto alle lamentele che arrivano dal distretto giudiziario lucano.


E’ questa l’impressione che si ricava da alcune delle ultime delibere approdate nei giorni al plenum dell’organo di autogoverno della magistratura. Di ritorno dalla pausa estiva, infatti, tra le prime questioni finite all’ordine del giorno non ci sono stati soltanto i procedimenti disciplinari a carico degli ex membri dello stesso Csm coinvolti nello scandalo Palamara. Incluso un lucano d’adozione come Luigi Spina, che è stato a lungo il principale riferimento della magistratura associata in Basilicata, ed è incappato nella sospensione dall’incarico per un anno e mezzo.
Al vaglio del plenum, infatti, sono subito arrivate le cosiddette «piante organiche flessibili distrettuali». Vale a dire la “riserva”, appena istituita, di magistrati in servizio in un distretto giudiziario ma disponibili all’applicazione altrove, per «affrontare in modo efficace eventi imprevedibili ed eccezionali (calamità naturali, terremoti, gravi incidenti), ma anche per far fronte a necessità come lo smaltimento degli arretrati, la riduzione dei carichi pendenti e la sostituzione di magistrati temporaneamente assenti dal servizio». Il tutto per circa 800 euro netti al mese in aggiunta al loro stipendio “base”.


Interrogati sul punto, i membri del consiglio giudiziario lucano, che è l’organo territoriale del Csm, avevano evidenziato una serie di problemi.
«Numerosi uffici giudicanti – avevano spiegato – presentano un turn over superiore alla soglia critica, tutti si caratterizzano per la presenza di un arretrato civile superiore alla soglia critica e quasi tutti si caratterizzano per pendenze superiori alla soglia critica». Poi c’è la situazione della Corte d’Appello, «particolarmente critica» a causa di un arretrato civile «del 58%». Anche se il problema dell’arretrato da smaltire nel civile tocca anche i tre tribunali lucani di primo grado e nel penale fa salvo solo quello di Matera.
Per questo ed altri motivi era stata chiesta la costituzione di una “riserva” di 8 magistrati di pronto impiego: 6 giudicanti e 2 pm. Tre in più di quelli proposti inizialmente dal Ministero della giustizia.


Ma dal Csm non ne hanno voluto sapere, evidenziando che la proposta ministeriale avrebbe già tenuto in considerazione la situazione di un distretto un distretto, «in cui l’incidenza dell’arretrato cosiddetto patologico è particolarmente significativa posto che, avuto riguardo alla percentuale di procedimenti ultratriennali o ultrabiennali sul totale dei procedimenti pendenti nel distretto, (…) presenta una percentuale del 48%, notevolmente superiore alla media nazionale del 28%». Mentre rispetto alla Procura di Potenza, «seppur interessata da croniche vacanze di organico ed elevato turn over», è stato sottolineata una «riduzione» delle iscrizioni di notizie di reato, da cui discenderebbe una minore esigenza di rafforzarne i ruoli.
I timori per la situazione della Corte d’appello di Potenza, d’altro canto, sono stati posti alla base di un secondo provvedimento arrivato al vaglio del plenum del Csm, di ritorno dalla pausa estiva. Con la bocciatura della candidatura dell’ex gip e attuale consigliere di Corte d’appello di Potenza, Rocco Pavese, per l’applicazione per 18 mesi (prorogabili fino a 24) nella sezione specializzata in materia di immigrazione del Tribunale di Bologna.
Tanto sulla base della constatazione, che «l’ufficio di provenienza – la Corte di appello di Potenza – presenta una rilevantissima scopertura di organico (superiore al 27%), che raggiungerebbe il 36% ove il magistrato richiedente fosse applicato al Tribunale di Bologna».

Come pure che «la Sezione civile della Corte di appello di Potenza, di cui fa parte il dottor Pavese, risulta particolarmente gravata, presentando un arretrato ultratriennale pari al 43,4% delle cause pendenti al 40.12.2020, cui si è accompagnato un incremento delle sopravvenienze (da una media annua di 510,4 procedimenti sopravvenuti nel 2011-2015 si è passati ad una media annua di 877,8 nel periodo 2016-2019)».
Un’ultima vicenda su cui il Csm ha stoppato le richieste che gli arrivavano dalla Basilicata, infine, ha riguardato la proroga oltre il termine decennale di durata dell’incarico di un altro giudice della Corte d’appello civile, Cataldo Collazzo (già assessore della giunta regionale guidata da Filippo Bubbico nei primi annni 2000). Proroga che era stata chiesta dalla presidente della Corte d’appello in persona, Patrizia Sinisi, per evitare «la paralisi» del collegio giudicante di cui fa parte. Sempre in considerazione del fatto «che la sezione civile è in affanno non solo per la carenza di organico, ma anche per la “massa dell’arretrato patologico”, per la quale è stato previsto un programma di smaltimento attualmente ancora in corso».


Eppure anche in questo caso non c’è stato nulla da fare. A far data da ieri Collazzo è stato trasferito alla sezione penale. Con la sola concessione di «poter partecipare alle camere di consiglio (…) relativamente alle sole cause trattenute in decisione prima della data del 18 settembre 2021».

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