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Il tribunale di Potenza

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POTENZA – Il blocco delle udienze penali e civili, dal 13 al 24 aprile, per protestare per l’inchiesta aperta dai pm potentini contro l’avvocato Antonio Murano, finito nel mirino per aver chiesto e ottenuto il rinvio di un processo, producendo un banale certificato medico.

È questa la decisione assunta, ieri, dall’assemblea degli avvocati di Potenza, convocati dal consiglio dell’Ordine proprio per discutere sull’accaduto e valutare il da farsi.

L’astensione dalle udienze è stata votata dalla quasi unanimità dei presenti dopo circa 3 ore di confronto all’interno del teatro Don Bosco. Un dibattito acceso, in cui è stata ripercorsa la denuncia di Murano, e la nota di precisazioni del procuratore capo di Potenza, Francesco Curcio, che ha provato a ridimensionare l’accaduto parlando di accertamenti doverosi dopo la trasmissione «con urgenza» in procura del certificato e del verbale dell’udienza incriminata da parte del Tribunale.

Per i legali, insomma, i chiarimenti di Curcio sarebbero stati insufficienti di fronte alla gravità di quanto rappresentato dal collega Murano. Ovvero la comparsa, a sorpresa, di un medico accompagnato dai carabinieri sulla porta d’ingresso della sua abitazione, per constatare in che condizioni di salute fosse realmente, e poi nel suo studio, per acquisire i filmati delle telecamere di sorveglianza.

Oltre all’escussione della madre e del figlio dell’avvocato e la presunta perquisizione subita dal suo medico curante, che – stando sempre a quanto denunciato da Murano – si sarebbe anche visto sequestrare il telefonino in cui aveva installato: «le applicazioni relative all’identità digitale, necessarie, tra le altre cose, a firmare le guarigioni e a disporre la fine della quarantena dei suoi pazienti». Il tutto sulla scorta di un’ipotesi di accusa, a carico di medico e avvocato, di «false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria», che è un reato punito con pene tra 2 e 6 anni di reclusione.

Un dispiego di forze e capacità investigative notevole, insomma. Tanto che durante la discussione di ieri mattina non è mancato qualcuno che ha fatto notare come la stessa solerzia non sempre venga riservate per denunce in apparenza ben più gravi. Come pure che andrebbero valutati eventuali abusi commessi dai carabinieri, dal momento che il procuratore ha escluso pubblicamente di aver mai delegato alcuna «attività invasiva» nei confronti dell’avvocato Murano.

Altra questione che non è passata inosservata, poi, è quella rappresentata dall’apparente contrasto tra il verbale sommario dell’udienza in questione, trasmesso «con urgenza» in procura assieme al certificato al centro dei sospetti del pm Giuseppe Borriello, e il verbale stenografico. All’interno di quest’ultimo infatti, come peraltro sostenuto da principio da diversi altri legali che erano presenti in aula, non risulta alcuna ordinanza di trasmissione in procura, che presupporrebbe una autonoma valutazione del Tribunale sull’esistenza di indizi sulla commissione di un reato da parte di Murano. Né «con urgenza», né senza. Piuttosto si legge dei sospetti espressi dal pm, rispetto alla circostanza che qualche giorno prima lo stesso Murano aveva già chiesto, senza successo, il rinvio del medesimo processo, che vede un carabiniere forestale per peculato, con un’altra motivazione. Di qui l’idea che la certificazione potesse essere soltanto un pretesto costruito in maniera artificiosa.

Sempre ieri sul caso, ormai balzato alla ribalta nazionale con l’annuncio di due interrogazioni parlamentari e la richiesta di un’ispezione ministeriale alla guardasigilli, Marta Cartabia, è intervenuto anche Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane, che lo ha paragonato a quanto accaduto, sempre la scorsa settimana, a Brescia.
Nella cittadina lombarda, infatti, a subire la foga inquisitoria dei pm sarebbe stato un avvocato che aveva chiesto il rinvio di un’udienza per la morte della madre, e per questo si è trovato davanti due carabinieri incaricati di verificare se la signora fosse davvero deceduta.

«Va fatta piena luce su tutta la vicenda perché quando si parla di giustizia, di indagini e di garanzie di equità di trattamento entra in gioco il senso stesso dello Stato e dei suoi apparati più importanti». Questo il commento dell’avvocato Antonio Di Lena, responsabile regionale del Dipartimento Giustizia di Italia Viva Basilicata.

«Va immediatamente fatta luce – ha aggiunto Di Lena – su quello che appare un clamoroso atto investigativo (…) che appare, così come già dichiarato dalla Camera penali nazionali di inaudita gravità. Per questo di rende indispensabile un accertamento chiaro, definitivo ed inequivoco di quanto accaduto anche a seguito di notizie di stampa secondo cui ci sarebbero dei verbali modificati successivamente».

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