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Angelo Salinardi

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POTENZA – Chi ha fabbricato le prove taroccate con cui l’ex sindaco di Ruoti, Angelo Salinardi, ha alimentato la «macchina del fango» contro la prima cittadina in carica, Anna Maria Scalise, colpevole di aver “tradito” chi l’aveva candidata ed eletta?

E’ questo uno degli interrogativi ancora aperti dell’inchiesta che martedì ha portato agli arresti domiciliari l’ex sindaco e altre 15 persone. Incluso l’ex consigliere regionale e attuale capo ufficio stampa della Provincia di Potenza, Luigi Scaglione, che avrebbe scritto per conto di Salinardi i comunicati con le accuse di adulterio rivolte a Scalise, e altri 3 consiglieri comunali di minoranza di Ruoti.

Durante gli interrogatori di garanzia di venerdì, infatti, sono stati diversi gli indagati che hanno deciso di rispondere alle domande di gip e pm. E molti di loro hanno spiegato di essere stati convinti, all’epoca, della veridicità dei fatti addebitati ingiustamente alla prima cittadina sulla base di quanto affermato da Salinardi. Vale a dire di quegli incontri clandestini, a Rionero, tra la stessa e uno dei suoi assessori, Franco Gentilesca, che gli investigatori hanno smentito con forza. Evidenziando che le utenze dei cellulari dei due presunti amanti, non hanno mai agganciato contemporaneamente la cella di quel centro del Vulture.

Ad accrescere il mistero sui fabbricanti di queste prove false, poi, ci sono diverse conversazioni intercettate dagli investigatori, in cui si sente nitidamente lo stesso Salinardi sostenere di essere in possesso di «prove certe» di quanto affermato.

«Fa intendere – commentano gli investigatori che le hanno ascoltate – che è in possesso delle copie delle cosiddette “schede alloggiative” ovvero delle comunicazioni che le strutture alberghiere inviano alle Questure allorquando vengono registrati gli ospiti con i relativi documenti di riconoscimento».

E nella trascrizione di una di quelle conversazioni con la funzionaria della polizia municipale, Marianna Di Maio, ne dettaglia anche il contenuto in maniera apparentemente convincente.

«No, la cosa strana è che la prima volta sono stati registrati tutti e due… Le altre volte successive registrata solo lei! Allora noi abbiamo pensato o è arrivata solo lei… è arrivata prima, ha dato il suo documento e lui è passata… perché chi doveva proteggere doveva essere protetta lei che è sposata non lui… lei risulta registrata tre volte… quattro volte per la prima volta e lui una volta».

Da capire, insomma, c’è anche il livello di consapevolezza dello stesso Salinardi, se si considera che gli inquirenti sono riusciti a risalire anche a chi avrebbe “verificato”, per conto suo, la circostanza di quegli incontri. Vale a dire il brigadiere dei carabinieri, Daniele Maletesta.

Ma una volta interpellata la titolare dell’affittacamere dove, secondo il teorema di Salinardi, sarebbero stati ospiti Scalise e Gentilesca hanno saputo da lei le stesse informazioni fornite, in precedenza, al carabiniere incaricato dall’ex sindaco. Vale a dire che non esisteva alcuna scheda alloggiativa a nome dell’uno o dell’altra.

Il sospetto, quindi, è che anche Salinardi fosse convinto di avere “in mano” un’informazione affidabile. Un’informazione assai preziosa, dal suo punto di vista, e a lungo ricercata, per provare ad assestare quel «colpo» decisivo che avrebbe dovuto spingere Scalise alle dimissioni.

«Secondo il mio avvocato c’era l’illegittimità perché la prova che tenevate non era una prova che potevi esibire, questo mi ha detto il mio avvocato…»

Così in un’altra intercettazione, un altro consigliere comunale di minoranza, Rocco Carlucci, spiega a Salinardi il motivo per cui non ha voluto firmare la denuncia con cui vennero esposti pubblicamente quei presunti incontri extraconiugali.

Lo stesso Carlucci che in seguito ha riferito agli investigatori di non aver sottoscritto diverse delle iniziative di Salinardi, convincendo il gip a respingere la richiesta di misure cautelari nei suoi confronti.

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