X
<
>

Condividi:
3 minuti per la lettura

IL RITORNO in circuito de “L’albero di Guernica” dello scrittore e regista spagnolo Fernando Arrabal è quasi un omaggio a Mariangela Melato, protagonista in assoluto di una delle stagioni più belle del nostro cinema e teatro, scomparsa a settantadue anni nel gennaio del 2013. 

Come in tutta la sua limitata produzione cinematografica (appena sette i lungometraggi girati) anche ne “L’albero di Guernica”,  Arrabal mette in circolo quella vena surrealista, dissacratoria e antiborghese che ha costantemente punteggiato tanto la sua scrittura che il lavoro per lo schermo.

Girato  tra i Sassi di Matera su consiglio di Pier Paolo Pasolini a metà degli anni settanta – quando in Spagna il regime del “generalìsimo” Francisco Franco era agli ultimi colpi di coda – il film è ambientato nel 1936  a  Villa Ramino, un villaggio rurale (nella realtà non esiste) vicino alla città basca di Guernica,  la cui popolazione, nel mentre  sta festeggiando  la fine della dittatura, deve fare i conti con un complotto  predisposto da una minoranza di generali falangisti per stroncare la nascente repubblica (definita con spregio “il drago marxista”) e ripristinare il vecchio ordine. Ne scaturirà una cruenta guerra civile sul cui sfondo si ritrovano  l’avvenente  contadina Vandal (Mariangela Melato) e il suo fidanzato, il pittore surrealista Goya Cerralbo, i quali  inizialmente pensano di scappare in Francia, ma poi decidono di rimanere  ed appoggiare la lotta dei loro concittadini.

Film politico, dal forte respiro idealistico, montato tra fiction ed immagini di repertorio, la sua intrigante e cupa bellezza, inoltre,  trova corrispondenza   nella visionarietà di Arrabal e nel taglio forte e dissacrante di alcune scene (il crocifisso preso a fucilate, l’amplesso di un nano con la statua della Madonna, il sacerdote che celebra messa con in testa l’elmetto di guerra e sbaciucchiando un soldato, altri  prelati che portano sulla tunica la parola inquisizione) per le quali il regista sarà accusato  di blasfemia. Ma le sferzate iconoclaste di Arrabal  sono ben mirate, hanno la lettura di una condanna storica verso  quella Chiesa spagnola che, facendosi complice ed alleata del regime di Franco, tradisce la profezia e la missione della Croce.

Irto di simboli surrealisti, Arrabal (che fu fondatore nel 1963, insieme a Aleandro Jodorowsky e Roland Topor, del famoso  gruppo avanguardista “Panico”), con “L’albero di Guernica” (distribuito dalla CG Home Video)   non tratteggia solamente  il sentiero di un film politico, l’ atto di accusa contro la spietatezza dei governi dei caudilli, ma una tragedia nera dove, comunque, la  passione e l’amore  vengono salvati.

E dentro questa passione vive e trionfa il “pasionario” personaggio di una Mariangela Melato semplicemente incredibile.

Chi ha scritto che il film di Arrabal, sull’ albero della libertà   sarebbe piaciuto al grande André Breton ha ammesso, naturalmente, la più inviolabile delle  verità.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE