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Ombre e interrogativi si addensano sulle sorti di Lea Garofalo, la collaboratrice di giustizia di cui si sono perse completamente le tracce a Milano dallo scorso novembre. La Garofalo è nativa della frazione Pagliarelle, a Petilia Policastro, grosso centro del crotonese. Qui ha sempre vissuto prima di avviare il percorso di collaborazione con la giustizia. Trentasei anni, una figlia quasi maggiorenne alla quale è legatissima, Lea, nella prima metà degli anni ’90, ha convissuto con Carlo Cosco, padre della ragazzina, l’uomo che è stato arrestato dai carabinieri, assieme ad un complice, con l’accusa di essere il mandante del sequestro dell’ex compagna tentato a maggio a Campobasso dove la donna risiedeva.
È nel 2002 che Lea Garofalo, fatto inusuale in Calabria, rompe il patto di omertà che vige all’interno delle cosche e inizia a rivelare quel che sa ai magistrati della Dda di Catanzaro. A partire dalle vicende legate alla sanguinosa faida che, dal 1975 ha visto contrapposte la sua famiglia, i Garofalo, ai Mirabelli, prima alleati di ferro e poi acerrimi avversari.
E’ il pm della Dda del capoluogo calabrese, Sandro Dolce, a raccogliere le prime testimonianze della donna e ad avanzare, e ottenere provvisoriamente, il programma di protezione.
In gran parte, però, si apprende negli ambienti giudiziari, le dichiarazioni dalla donna facevano riferimento a fatti e circostanze apprese nel contesto della sua famiglia e solo alcune vicende, relative al periodo di convivenza con Cosco, erano parte del suo patrimonio di conoscenze dirette.
Lea, in ogni caso, come compagna di Cosco, aveva avuto contezza diretta degli affari per traffici di droga intercorsi tra suo fratello Floriano, poi ucciso l’8 giugno del 2005, lo stesso suo convivente e il fratello di quest’ultimo Giuseppe detto ‘Smith’ e, ancora, conosciuto elementi legati ad alcuni omicidi avvenuti fino ai primi anni del 2000.
Ad avanzare dubbi è il legale di Cosco, l’avvocato Francesco Garofalo: “Quanto è venuto fuori sui giornali e in televisione – dice – non rispecchia la realtà dei fatti. Si tratta di indizi che non hanno alcun fondamento perchè il signor Carlo Cosco e la sua ex convivente andavano d’accordo. Le accuse non hanno alcun fondamento logico. Ma non vi pare che ci sia una contraddizione di fondo sul fatto che la donna possa mai avere manifestato timori nei confronti del convivente e il fatto che poi Cosco e la signora Garofalo si vedessero normalmente in Calabria, in Molise e in Lombardia”.
Oggi intanto a Campobasso i magistrati della procura incontreranno i giornalisti per parlare dell’inchiesta relativa al tentativo di sequestro che, secondo l’accusa, Massimo Sabatino avrebbe portato a termine su mandato di Carlo Cosco, mentre restano gli interrogativi sulla sorte della donna.

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