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di FABIO AMENDOLARA

SAN GIORGIO LUCANO – Sul suo terreno, da oltre 30 anni, stanno costruendo una struttura alta tre metri e mezzo e lunga più di due chilometri. All’epoca si disse che per quel tratto di condotta sarebbero bastati una decina di miliardi di lire. Poi, col tempo, si accorsero che neanche 300 miliardi sarebbero bastati.
«E senza che i lavori siano ancora terminati», dice Rocco Torchitti, storico segretario regionale del Partito liberale, che in quel terreno possiede anche una masseria.
La chiamano «traversa sul fiume Sarmento». E, secondo una stima presuntiva, dovrebbe portare una novantina di milioni di metri cubi annui alla diga. Da quando l’Ente irrigazione ha deciso che proprio sul suo podere dovevano passare le opere di adduzione all’invaso di Monte Cotugno, Rocco Torchitti non si dà pace.
Le carte del contenzioso che ha avviato con l’Ente irrigazione non entrano più in una valigia. E lui è diventato quasi un esperto di diritto e di procedura civile, dopo 17 anni di processo. Tanto è durato quello di primo grado. Che, però, Torchitti ha perso. I giudici hanno dato ragione all’Ente irrigazione. E lui, Torchitti, contrariamente a quel principio che vuole che le sentenze non si commentano ma si impugnano, dà una lettura tutta sua della decisione dei giudici.
Spiega: «Si riscoprono antiche magagne che erano tipiche dello Stato Sabaudo, a totale danno della giustizia. In quell’epoca infatti i magistrati, pur di difendere gli enti deviati dello Stato, non esitavano a far uso distorto della giustizia con la prospettiva di ottenere scalate rapide di carriera». E’ arrabbiato Torchitti. E’ arrabbiato con i giudici. E anche con l’Ente irrigazione.
Come in tutti i contenziosi ognuno ha una sua verità. Quella di Torchitti, però, non coincide con quella dei giudici.
Dice: «Le risorse dello Stato vengono assottigliate per rifocillare a colpi di miliari delle vecchie lire l’Ente irrigazione di Bari, per una galleria all’interno della mia masseria». Un progetto che l’ha «distrutto finanziariamente e moralmente», afferma. E ancora: «Mi hanno costretto a subire il costo di un procedimento penale e di uno civile che, cominciato nel 1992, si è concluso in primo grado nel dicembre del 2009, con il rigetto delle richieste finanziaria a titolo di risarcimento danni a mio favore». Eppure, quelle richieste, sostiene l’ex segretario del Partito liberale, «erano inserite nel verbale di concordamento avvenuto tra le parti». E’ da quel verbale che parte la vicenda. Ente irrigazione e Torchitti quel verbale lo firmarono l’anno in cui alla guida del Pli salì Renato Altissimo. Era il 1985. «Quella vicenda — dice Torchitti — doveva concludersi con il pacifico pagamento di 300 milioni di lire». L’Ente irrigazione, però, successivamente quel verbale l’ha disconosciuto. E Torchitti, che non spiega il perché, è finito sotto processo. Prima a Pisticci, poi a Potenza, in Corte d’Appello. Dove fu assolto per non aver commesso il fatto.
Come il processo sia poi finito di nuovo a Lagonegro non è chiaro. Ma il problema, secondo lui, è proprio lì. Dice Torchitti: «Non sono bastate le tre perizie, di cui due del Ctu di Lagonegro e una di parte, che condannano l’Ente». Secondo Torchitti, «con un colpo di genio, al solo scopo di difendere l’Ente irrigazione, si asserisce che il documento su cui si basa il risarcimento è una fotocopia e che pertanto Torchitti non può essere soddisfatto nelle sue richieste». Dura lex sed lex.
Torchitti ha comunque due domande: «Come mai se al Tribunale di Pisticci il giudice aveva già sentenziato che gli originali erano stati acquisiti, il giudice di Lagonegro fa eseguire le perizie su una fotocopia, essendo il processo corredato degli originali?». E ancora: «Come mai il giudice ha utilizzato la fotocopia anziché la copia conforme rilasciata dal Tribunale di Lagonegro che ha lo stesso valore dell’originale?». Queste domande troveranno mai una risposta? Secondo Torchitti no. Per lui «si vuole tornare indietro, ai tempi dello Stato Sabaudo».
f.amendolara@luedi.it

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