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GIORGIO Abertazzi ha superato i 90 anni e calca ancora le scene dei teatri italiani. L’attore di Fiesole è ben conosciuto in Calabria perché ha ricoperto la carica di direttore artistico del “Magna Græcia Teatro Festival”. Un incarico che gli ha conferito la giunta di centrodestra della Regione Calabria. Da qui la vulgata sull’equazione Albertazzi uguale uomo di destra, con un passato fascista. In realtà non è proprio così, almeno a leggere l’intervista che Stefania Rossi gli ha fatto e che è stata pubblicata su L’Espresso (n. 9 6/3/2014). In essa Albertazzi rigetta questa etichetta che si porta dietro da una vita, ossia di essere stato un giovanissimo repubblichino di Salò. E questo è vero e lui non lo nega. Cose lontanissime. Nella conversazione con la giornalista l’attore parla di questo, ma parla anche dei suoi amori, delle sue prestazioni di tombeur de femmes, dell’amore saffico, delle esplorazioni con Visconti e Zeffirelli, della sua vita passata accanto ad Anna Proclemer, e, da ultimo, dell’attuale moglie, Pia dei Tomei, cui le passa 36 anni; e di altro ancora. Parla per esempio del suo maestro, Titta Foti. Stefania Rossini, in un passaggio dell’intervista, domanda: “Da tutto ciò che ha detto, immagino che lei non sia credente. Ha mai pensato che, come certi grandi intellettuali atei, potrebbe convertirsi all’ultimo momento? Questa la risposta: «Come ha fatto Malaparte, per esempio? Non credo, perché il mio rifiuto è calmo, non è assetato. La penso come Titta Foti, un altro mio maestro politico, che diceva: “Negare Dio è sbagliato, però affermare che Dio esiste è gratuito”. A proposito di Titta Foti le vorrei far notare che era un esponente della Federazione anarchica internazionale, come Gigi Vanzi, che ho nominato prima, era stato un fondatore del Partito comunista a Livorno. Poi c’è Nenni con cui mi telefonavo spesso e che mi sostenne quando, per uno spettacolo in onore di Garcia Lorca, il Movimento sociale eresse davanti all’Eliseo una ghigliottina con un mio fantoccio decapitato. Le sembrano amicizie di un fascista, queste?». Basta e avanza. 

Titta Foti chi? Titta Foti è stato un grande giornalista calabrese. L’unico maestro di giornalismo che la Calabria abbia mai avuto. Diresse “Il Gazzettino del Jonio”. A proposito, come si scrive: del Jonio o dello Jonio? Ciò fu oggetto di un’appassionata discussione nella redazione del giornale nel momento della registrazione della testata. Questione risolta perché la J semiconsonante e non vocale. Allora si rispettava la lingua. Giovanbattista Foti, Titta per tutti, nato a Siderno l’8 novembre 1912 e morto il 16 settembre 1978. Foti divenne noto nella regione per aver diretto, dal 1956 al 1973, il settimanale di battaglia Il Gazzettino del Jonio. Tra i suoi allievi ci furono Moisé Asta, Franco Martelli, Luigi Malafarina, Osvaldo Bevilacqua, Rocco Ritorto, Salvatore G. Santagata, Sharo Gambino, Pasquino Crupi, Enzo De Virgilio. 
Tra i collaboratori numerosi furono gli intellettuali: Aldo Casalinuovo, Antonio Piromalli, Emilio Argiroffi, Fortunato Seminara, Franco Abruzzo, Gaetano Greco Naccarato, Ilario Principe, Luigi Maria Lombardi Satriani. Insomma quasi tutta l’intellighenzia del tempo. Egli era genio e sregolatezza. Intelligente, creativo, bizzarro. Fumatore incallito e giocatore di poker allo stadio terminale. Durante il periodo bellico riparò in Ancona dove, fra l’altro, svolse l’attività di commediografo. Fu lui a lanciare in teatro un giovanissimo reduce della Repubblica di Salò, Giorgio Albertazzi. Dopo il referendum costituzionale del 1946 si trasferì a Roma per fare il giornalista a tempo pieno. Lavorò nel quotidiano Giustizia accanto a Carlo Andreoli e, successivamente, a Paese Sera. Poi il ritorno in Calabria, nella sua Siderno, dove con l’ingegnere Giuseppe Primerano e l’avvocato Nicola Zitara, due grandi meridionalisti, fu lanciato Il Gazzettino del Jonio.
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