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Una delle precedenti edizioni della manifestazione era finita nel mirino dei clan

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CATANZARO – C’è anche un episodio estorsivo, o presunto tale, ai danni della nota kermesse “Magna Graecia film festival” tra le vicende ricostruite nella cosiddetta informativa “Terremoto”, redatta dai carabinieri del Reparto operativo di Catanzaro che indagavano sulla cellula catanzarese della super cosca Grande Aracri di Cutro. Un clan satellite, quello capeggiato da Gennaro Mellea, della più vasta “provincia” di ‘ndrangheta facente capo al boss ergastolano Nicolino Grande Aracri il cui tramite col gruppo catanzarese è ritenuto l’impiegato del Comune di Cutro Alfonso Salerno. Tutte figure già emerse nel processo Kyterion, che ha già fatto luce sul racket imposto a Catanzaro.

Ma c’è dell’altro, nei faldoni della recente operazione “Farma business”, ultimo colpo assestato dalla Dda alla super cosca. I “bravi ragazzi” catanzaresi progettavano un incendio, in occasione della manifestazione svoltasi dal 27 luglio all’agosto 2013, del palco o di un camion, ma il raid non si verificò perché alcuni indagati vennero assunti nello staff. Un episodio che, secondo la ricostruzione degli inquirenti, coordinati dal procuratore aggiunto di Catanzaro Vincenzo Capomolla e dai sostituti Domenico Guarascio e Paolo Sirleo, si collocava in un piano ben preciso, finalizzato a rafforzare la caratura criminale di un gruppo in quegli anni emergente nei confronti delle imprese costrette a pagare il pizzo.

Sempre secondo gli investigatori, a questa logica non si sottrasse neanche l’organizzazione che presiede al festival ideato da Gianvito Casadonte. Quella del 2013 era la decima edizione e, secondo il sindaco Sergio Abramo, che sponsorizzò la manifestazione con un modesto impegno finanziario del Comune di Catanzaro, doveva essere avviata una sperimentazione per tre anni in vista di un’istituzionalizzazione dell’evento, come dichiarato nel corso di una conferenza stampa. Qualche giorno prima della kermesse, l’organizzazione inviò a Catanzaro Lido, in piazza Brindisi, tutto l’occorrente per allestire un palco di 26 metri. Da un’intercettazione emerge che Giuseppe Celi e Antonio Maletta erano riusciti a entrare nello staff incaricato del montaggio del palco.

La sera del 23 luglio, in particolare, viene registrata una conversazione tra Celi e Alex Scicchitano. “Noi abbiamo carta bianca, dobbiamo andare noi direttamente e ci prendiamo i soldi”, direbbe Celi con riferimento ai mutati assetti della geografia criminale catanzarese. “Adesso il camion non glielo voglio toccare perché l’ho visto e ci vogliono 300mila euro”. E Scicchitano: “sei fuso, là ci sono le telecamere… la zona è un po’ troppo rischiosa”.

Il danneggiamento, insomma, non si sarebbe verificato per l’intensificazione dei controlli delle forze dell’ordine e della sorveglianza ma, secondo gli inquirenti, l’episodio denota da parte del gruppo criminale la “volontà di alimentare paura e creare quel clima di intimidazione diffusa che dimostra l’esistenza di un’associazione criminale a Catanzaro finalizzata all’estorsione”. Nella stessa informativa vengono ripercorse, infatti, estorsioni ai danni dei titolari di discoteche, stabilimenti e imprese edili e anche l’imposizione del caffè Corapi, commercializzato da Roberto Corapi, braccio destro di Mellea, ai distributori della provincia di Catanzaro.

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