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Il carcere di Siano (Catanzaro)

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CATANZARO – Droga, spaccio di cocaina, hashish e marijuana, sigarette e cellulari, tutto all’interno del carcere “Ugo Caridi” di Siano, a Catanzaro. Favori ai detenuti, portati avanti per diversi anni anche grazie alla compiacenza di agenti e funzionari penitenziari che chiudevano gli occhi e facevano finta di nulla. Ieri mattina il blitz della Dda ha portato i militari del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Catanzaro e del Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria, con il supporto dei militari della Legione carabinieri Calabria, all’esecuzione di una ordinanza di misura cautelare emessa dal gip Gabriella Pede nei confronti di 38 persone – iscritte nel registro degli indagati (LEGGI LA NOTIZIA). Di questi, 16 sono finiti in carcere, 10 ai domiciliari, 5 hanno l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e 7 sono stati sospesi dall’esercizio delle funzioni. Dovranno rispondere a vario titolo dei reati di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e all’accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di detenuti, concorso esterno in tali associazioni, nonché istigazione alla corruzione, corruzione anche con l’aggravante mafiosa, concorso esterno in associazione di tipo mafioso, procurata evasione, falso e truffa ai danni dello Stato.

In carcere sono finiti anche l’ex direttrice del carcere di Catanzaro (attualmente in servizio al provveditorato regionale), il comandante e l’assistente capo della polizia penitenziaria. Coinvolto anche un avvocato. Ad illustrare i dettagli dell’inchiesta – che riguarda presunti illeciti nella gestione della struttura detentiva del capoluogo di regione – nel corso della conferenza stampa tenutasi nella sede della nuova Procura di piazza Stocco, è stato il procuratore facente funzioni di Catanzaro, Vincenzo Capomolla, il comandante provinciale dei carabinieri di Catanzaro, Giuseppe Mazzullo, il comandante del Nucleo operativo, Roberto Di Costanzo e il commissario della polizia penitenziaria, Giuseppe Chiappetta.

Il procuratore Capomolla, ha parlato di «quadro inquietante» e di «condotte omissive e commissive», specificando comunque che «il sistema penitenziario ha dimostrato di avere al suo interno gli strumenti e articolazioni per assicurare il rispetto delle regole e della funzione istituzionale a sostegno dei detenuti e questo ci rassicura». Nell’ambito dell’inchiesta (partita a settembre 202, ndr) sono coinvolte diverse figure del comparto penitenziario, si tratta di agenti, comandanti e direttori dell’amministrazione penitenziaria. Ha aggiunto, proseguendo, «Siamo in una fase preliminare delle indagini e ciò va ribadito e l’ipotesi che la Procura porta avanti nei confronti di questi soggetti è di un comportamento omissivo, ovvero avere l’obbligo di impedire di un evento e non farlo per il codice penale equivale a cagionare il reato». Ed ancora, «Le misure cautelari riguardano soggetti già in detenzione e operatori polizia penitenziaria, funzionari del carcere mentre si è trattato di monitoraggio complesso, condotto da carabinieri dall’esterno del carcere e dal Nucleo investigazione centrale della Polizia penitenziaria, all’interno dell’istituto che ha fatto emergere le condotte illecite».

Sarebbero state due le organizzazioni che all’interno del carcere commerciavano droga e telefonini, e che avrebbero fatto capo agli stessi indagati ritenuti promotori e organizzatori, con il coinvolgimento, di detenuti, loro congiunti, operanti della polizia penitenziaria e anche di un avvocato. Accertamenti, quelli effettuati all’esterno, rivolti soprattutto ai familiari di alcuni detenuti, in particolare alle loro mogli, compagne e madri, che si preoccupavano di recapitare la droga e i cellulari da distribuire poi all’interno del penitenziario. Investigazioni sono state svolte anche su diverse carte prepagate intestate ad alcuni degli indagati, dalle quali è emerso come su alcune di queste carte siano stati registrati movimenti di denaro in ingresso per 12mila euro e questo testimonia che la vendita della droga e lo smercio dei cellulari erano fonti enormi di reddito per sostenere i due gruppi criminali. Come anche movimenti di denaro in ingresso per a 35mila euro, presumibilmente riconducibile allo spaccio di sostanze stupefacenti all’interno dell’istituto penitenziario, in poco più di 4 mesi. In circa un anno e mezzo, movimenti per 48mila euro.

Come evidenziato dal comandante del nucleo operativo, Roberto Di Costanzo, che ha parlato anche della difficoltà delle indagini che hanno richiesto un impegno notevolissimo. «Parliamo di due associazioni sovrapponibili, una dedita allo smercio della droga e una a quello dei cellulari e mini cellulari che venivano smerciati all’interno del carcere», ha dichiarato il comandante provinciale dei carabinieri di Catanzaro, Giuseppe Mazzullo. «Gli stratagemmi usati – ha aggiunto – erano i più fantasiosi, con nascondigli all’interno delle scarpe, o attraverso distrazioni o piccole omissioni nelle attività di controllo. Le esecuzioni sono state condotte anche in altre province e regioni, questo a significare che le attività di riscontro esterne erano particolarmente complessa ed il nostro ruolo, come quello del Nucleo centrale, è stato molto importante».

E proprio degli omessi controlli, ha parlato il commissario della polizia penitenziaria, Giuseppe Chiappetta: «Abbiamo accertato diverse omissioni di pubblici ufficiali che hanno nascosto condotte illecite e abbiamo ricostruito due distinti sodalizi con attività di distribuzione di droga e di cellulari e di sim card all’interno del carcere».

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